Oggi il 57% degli uomini e il 63% delle donne colpiti dal cancro sconfiggono la malattia. In quindici anni (1992-2007) le guarigioni sono aumentate rispettivamente del 18% e del 10%. Particolarmente elevata la sopravvivenza dopo un quinquennio in tumori frequenti come quello del seno (87%), della prostata (91%) e del colon retto (64% per gli uomini, 63% per le donne).

Queste percentuali collocano l’Italia fra i primi Paesi in Europa per numero di guarigioni. Perché il nostro sistema, basato sul principio di universalità, è efficiente grazie alle eccellenze ospedaliere. Ma è necessario far fronte a criticità urgenti che rischiano di compromettere la qualità dell’assistenza: almeno il 15% degli esami (in particolare radiologici e strumentali) è improprio, vi sono terapie di non comprovata efficacia che costano ogni anno al sistema circa 350 milioni di euro e il peso delle visite di controllo è pari a 400 milioni.

Non solo. Le liste di attesa sono troppo lunghe, l’adesione ai programmi di screening è insufficiente soprattutto al Sud, i percorsi terapeutici non sono uniformi nelle varie Regioni con conseguente spreco di risorse. Soluzioni concrete vengono proposte oggi nel convegno nazionale sullo “Stato dell’Oncologia in Italia” organizzato dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) al Senato con la partecipazione del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

“Le esigenze dei pazienti oncologici stanno cambiando - spiega il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM - e la presa in carico di queste persone richiede una risposta a 360 gradi da parte dei clinici e delle Istituzioni. L’AIOM in questi anni ha messo in campo strumenti concreti ed efficaci.

A partire dalle campagne di prevenzione come ‘Non fare autogol’: con i calciatori della serie A siamo entrati nelle scuole superiori per insegnare ai ragazzi gli stili di vita corretti. Il progetto è giunto alla quinta edizione, con 100 incontri, un milione di studenti e 3.000 Istituti scolastici coinvolti. Il fattore di rischio più importante, il fumo di sigaretta, risulta ancora troppo diffuso fra gli italiani. Un terzo degli under 35 è fumatore, con conseguenze allarmanti. Per questo il nostro impegno nella prevenzione continua con un tour sui danni del fumo anche passivo in otto Regioni”.

Un altro aspetto è quello relativo alla prevenzione secondaria, cioè agli esami di screening. “Nel corso del 2013 - afferma il prof. Pinto - gli inviti per i tre programmi (mammografia per il tumore del seno, pap-test per quello della cervice uterina e ricerca del sangue occulto nelle feci per il cancro del colon-retto) hanno superato gli 11 milioni. Più di 5 milioni e duecentomila persone hanno eseguito il test proposto. Ma permangono grandi differenze fra Nord e Sud”. Nel 2014 sono stati registrati 365.500 nuovi casi di tumore (circa 1000 al giorno), di cui 196.100 (54%) negli uomini e 169.400 (46%) nelle donne. Ma la mortalità è in netto calo, dal 1996 a oggi è diminuita del 20%.

“Il passo avanti – continua il prof. Pinto - è stato rappresentato dalla medicina personalizzata e dalle terapie mirate che agiscono solo sulle cellule malate preservando quelle sane. I test molecolari consentono la selezione dei pazienti in cui questi trattamenti possono funzionare. L’AIOM, in collaborazione con gli anatomopatologi della SIAPEC-IAP, ha avviato diversi programmi per il controllo di qualità delle strutture che eseguono queste analisi nel tumore del polmone, del seno, del colon-retto, dello stomaco e nel melanoma. L’obiettivo è quello di garantire l’accesso a test molecolari validati per tutti i pazienti sull’intero territorio nazionale. Oggi alle terapie personalizzate su bersagli cellulari si aggiunge una nuova importante arma nel trattamento della patologia neoplastica rappresentata dall’immunoterapia, che riattiva il sistema immunitario contro il tumore. L’immunoterapia ha già raggiunto importanti risultati nella cura del melanoma e del carcinoma del polmone e si sta sviluppando con studi clinici in molte altre patologie oncologiche”.

“Nostro obiettivo - ribadisce il presidente AIOM, prof. Pinto – è quello di garantire insieme l’accesso alle cure più efficaci per tutti i pazienti in tutte le Regioni del nostro Paese e la sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale. Con questa finalità lavoriamo con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e con l’Industria per rendere disponibili subito i nuovi farmaci, e con AGENAS perché vengano definiti i criteri per lo sviluppo delle reti oncologiche regionali. La riforma dell’organizzazione sanitaria dovrebbe essere legata alla revisione del Titolo V della Costituzione per garantire una maggiore omogeneità assistenziale sul territorio”.

“Solo così non vi saranno più 20 sistemi sanitari diversi – sottolinea la dott.ssa Stefania Gori, segretario nazionale AIOM –. È necessario che la riorganizzazione degli ospedali e dei posti letto privilegi le strutture che trattano più casi e garantiscono servizi migliori. E devono essere razionalizzate le risorse. Non è ammissibile che un giorno di ricovero abbia costi estremamente diversi tra le diverse Regioni e nell’ambito di una stessa Regione. Anche la disponibilità dei farmaci biosimilari potrà consentire risparmi significativi, dando però sempre la priorità alla cura del paziente. Dall’altro lato è necessaria la realizzazione e l’attivazione delle reti oncologiche regionali, che procede con estrema lentezza. Il problema della loro istituzione è stato affrontato nel precedente Piano Oncologico Nazionale ma è rimasto ancora embrionale. Solo le reti oncologiche regionali possono permettere un collegamento reale fra i centri e lo sviluppo integrato dei percorsi-diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA). Inoltre offrono al paziente la garanzia di ricevere le cure migliori e consentono significativi risparmi di risorse. Senza considerare l’eliminazione degli esami impropri e la riduzione delle liste di attesa. Oggi servono fino a 60 giorni per un’operazione di chirurgia oncologica. Le reti permetterebbero di abbattere del 30% questi tempi”.

“Noi abbiamo fatto la nostra parte e continueremo a farla – spiega la dott.ssa Gori -, mettendo a disposizione una serie di strumenti epidemiologici (‘I numeri del cancro in Italia’), organizzativi (‘Il libro bianco dell’oncologia’) e di appropriatezza (‘Linee guida’). Chiediamo che le Istituzioni forniscano la cornice e le regole entro cui le reti oncologiche siano costituite. Non possiamo però tollerare ulteriori ritardi e, soprattutto, qualità così diverse nell’assistenza ai malati nelle varie Regioni”.

Altro obiettivo di AIOM riguarda l’implementazione della continuità di cura. In Italia il 35% dei malati di cancro giunge alla diagnosi quando la malattia è in fase avanzata. A questi pazienti deve essere applicato il modello di cure simultanee, che implica l’integrazione tra terapie oncologiche e cure palliative. “L’Italia – continua la dott.ssa Gori - detiene il primato in Europa con ben 35 centri di oncologia certificati dalla Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) per l’integrazione precoce tra le terapie oncologiche e le cure palliative. Ma, anche se le cure simultanee sono state inserite nel Piano Oncologico Nazionale e riconosciute, a livello internazionale, come modello ideale per rispondere a tutti i bisogni del malato, carenze organizzative e di personale dedicato rappresentano in alcune aree del nostro Paese un ostacolo alla loro piena realizzazione”.

Infine l’impegno per la ricerca. Il 35% degli studi clinici condotti in Italia riguarda l’oncologia, l’area terapeutica su cui si concentrano i maggiori investimenti. Manca però nel nostro Paese un punto di riferimento unico e strutturato, a cui le Istituzioni e l’Industria si possano rivolgere. Troppo spesso le sperimentazioni sono lasciate all’iniziativa e all’impegno dei singoli centri. Per colmare questo vuoto nasce sotto l’egida dell’AIOM la “Federation Italian Cooperative Oncology Groups - FICOG”, che riunisce in un progetto unitario i gruppi di ricerca clinica attivi in Italia.

“Il processo di sviluppo di un nuovo farmaco anticancro è molto lungo e complesso, richiede dai 10 ai 15 anni di ricerca – conclude il prof. Pinto -. Solo una molecola su 10mila arriva sul mercato e solo 2 su 10 permettono di recuperare i costi in ricerca e sviluppo, che stanno diventando sempre più consistenti. Infatti nel 2001 per sviluppare un prodotto erano necessari circa 800 milioni di dollari, oggi questa cifra è salita a 1,3 miliardi di dollari. Il 95% delle risorse viene dall’industria, il 5% dai singoli gruppi di ricerca. Se l’industria avesse un unico interlocutore qualificato e ben strutturato, sicuramente investirebbe di più, oltre il 50% delle risorse attuali. Oggi la Federazione può essere questo interlocutore, rendendo il nostro Paese più attrattivo anche per la grande ricerca internazionale”.