Aggiunto alla chemioterapia standard di prima linea, bevacizumab ha dimostrato di rallentare, seppur di poco, la progressione tumorale nel carcinoma metastatico della mammella nell'ambito di uno studio di fase III, appena pubblicato sul sito del Journal of Clinical Oncology. L'anticorpo, somministrato insieme alla chemioterapia, ha infatti migliorato la sopravvivenza libera da progressione (endpoint primario del lavoro) portandola da 1 a 3 mesi.

L'aggiunta di bevacizumab ha inoltre migliorato la percentuale di risposte obiettive rispetto alla sola chemioterapia, mentre non ha allungato la sopravvivenza globale.
"Questi dati, insieme con quelli di altri due grossi studi, forniscono un chiaro razionale per l'aggiunta di bevacizumab alla terapia citotossica di prima linea nelle donne con tumore al seno metastatico HER2-negativo" scrivono gli autori nelle loro conclusioni.

Tuttavia, a pochi giorni dalla conferma dell'indicazione nel tumore al seno metastatico incassata dall'Ema, questo nuovo studio, denominato RIBBON-1, è destinato probabilmente a riaccendere il dibattito sull'uso dell'anticorpo in questo setting.

Nello studio RIBBON-1, gli autori hanno testato diversi regimi chemioterapici da soli o in combinazione con bevacizumab come terapia di prima linea del cancro al seno metastatico su 1.237 pazienti. Le partecipanti sono state randomizzate in rapporto 1:2 al trattamento con l'anticorpo o la sola chemioterapia. Prima della randomizzazione, il medico curante ha scelto un regime chemipterapico: capecitabina, un taxano (nab-paclitaxel o docetaxel) oppure combinazione a base di antraciclina (doxorubicina o epirubicina).

L'analisi finale ha incluso 615 pazienti nella coorte bevacizumab-capecitabina e 622 in quella trattata con bevacizumab in aggiunta a un taxano oppure un'antraciclina.
In entrambe le coorti, le combinazioni con bevacizumab hanno portato a una sopravvivenza libera da progressione più lunga rispetto alla sola chemioterapia.
Nel braccio capecitabina, la sopravvivenza libera da progressione è stata di 5,7 mesi con la sola chemio e  8,6 mesi con l'aggiunta dell'anticorpo (P < 0,001).
Nelle pazienti trattate con un taxano o una combinazione a base di antraciclina, la sola chemio ha portato a una sopravvivenza libera da progressione di 8,0 mesi, che sono diventati 9,2 aggiungendo bevacizumab.

L'aggiunta dell'inibitore dell'angiogenesi si è tradotta anche in una percentuale di risposta significativamente maggiore rispetto alla sola capecitabina (35,4% contro 23,6%; P = 0,0097) o al taxano o l'antraciclina (51,3% contro 37,9%; P = 0,0054).

Deludenti, invece, i risultati sulla sopravvivenza globale, che non è risultata significativamente diversa con l'anticorpo o senza, così come la sopravvivenza a un anno.
Nessuna sorpresa sul fronte sicurezza, con dati in linea con quelli ottenuti negli altri studi su bevacizumab.

Nell'editoriale che accompagna lo studio, Harold J. Burstein, del Dana-Farber Cancer Institute di Boston, afferma che sono necessari ulteriori studi per definire il ruolo di bevacizumab nel trattamento del cancro alla mammella metastatico, nonostante il farmaco sia già stato protagonista di cinque trial clinici, un registro prospettico e svariate revisioni delle agenzie regolatorie Usa, europea e inglese.

Secondo l'editorialista occorre stabilire se la combinazione di bevacizuma con la chemioterapia rappresenti realmente un progresso nella lotta contro il tumore al seno metastatico, in quali pazienti e con quali costi.

Robert NJ, et al. RIBBON-1: Randomized, double-blind, placebo-controlled phase III trial of chemotherapy with or without bevacizumab for first-line treatment of human epidermal growth factor receptor 2-negative, locally recurrent or metastatic breast cancer" J Clin Oncol 2011; DOI:10.1200/JCO.2010.28.0082.
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