Un nuovo studio presentato a Barcellona in occasione del Congresso dell’European Society for Radiotherapy & Oncology (ESTRO) mostra che dosi ridotte di brachiterapia possono migliorare la sopravvivenza dei pazienti con tumore della prostata rispetto alla radioterapia a fasci esterni a dosi scalari. Lo studio è il primo a comparare le due metodiche nel trattamento del carcinoma prostatico.

La brachiterapia è una forma di radioterapia interna che utilizza 40-100 “semi” di un materiale radioattivo inseriti attraverso degli aghi sottili nella prostata. Successivamente gli aghi vengono rimossi e i “semi” vengono lasciati nella prostata per settimane o mesi. Durante questo periodo, il materiale radioattivo emette una dose ridotta di radiazioni che colpiscono i tessuti circostanti, limitando i danni ai tessuti sani attorno alla prostata. La radioterapia a fasci esterni, invece, indirizza fasci di radiazioni sulla ghiandola prostatica dall’esterno del corpo.

Per lo studio, i ricercatori hanno arruolato 398 uomini con tumore della prostata localizzato ritenuti dagli esperti ad alto rischio di fallimento della terapia.

Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a terapia di deprivazione androginica per un periodo di 8 mesi. Alla fine di questo trattamento, gli uomini arruolati sono stati sottoposti a radioterapia a fasci esterni indirizzata alla prostata e ai linfonodi regionali con una dose di radiazioni pari a 46 Gy. I partecipanti sono stati randomizzati in seguito a ricevere la brachiterapia o ancora la radioterapia a fasci esterni ma con una dose aggiuntiva di 32 Gy rispetto al ciclo iniziale.

Confrontando la sopravvivenza dei due gruppi a 5 anni dalla fine del trattamento, gli esperti hanno osservato che gli uomini trattati con la brachiterapia avevano una probabilità superiore di più del doppio di essere liberi dalla malattia, rispetto a quelli trattati con la radioterapia a fasci esterni.

Anche se i risultati hanno mostrato un aumento della sopravvivenza con la brachiterapia, il trattamento è risultato associato ad alcuni eventi avversi.

Ad esempio, l’incidenza di effetti collaterali severi a livello urinario era tre volte più elevata con la brachiterapia, rispetto alla radioterapia a fasci esterni. In particolare, la prevalenza a lungo termine della tossicità severa a livello urinario era dell’8% con la brachiterapia e del 2% con la radioterapia”.

Comunque, spiegano gli autori, la maggior parte degli eventi avversi osservati nel gruppo sottoposto a brachiterapia era temporanea e reversibile.

I ricercatori hanno poi sottolineato, pensando al rapporto costo-beneficio della procedura, che la brachiterapia è una metodica complessa che richiede esperienza e un training adeguato per avere risultati ottimali.

Commentando i risultati il Prof. Phillip Poortmans, presidente di ESTRO ha affermato che “questi risultati illustrano molto chiaramente come la combinazione di più opzioni di trattamento può portare a migliori risultati. La brachiterapia e una tipologia efficace e sicura di radioterapia, che può essere applicata in campi differenti con risultati ottimali quando combinata ad altre metodiche, in questo caso la terapia di deprivazione androginica e la radioterapia a fasci esterni”.