Oncologia ed Ematologia

Ca alla prostata, accettabile una biopsia ogni 2 anni per la sorveglianza attiva

Negli uomini che hanno un carcinoma prostatatico a basso rischio e vengono sottoposti alla sola sorveglianza attiva, è "accettabile" eseguire una biopsia ogni 2 anni anziché ogni anno. È questa la conclusione di una nuova analisi, appena pubblicata su Annals of Internal Medicine, che combina i dati a livello di singolo paziente provenienti da quattro importanti studi in corso.

Negli uomini che hanno un carcinoma prostatatico a basso rischio e vengono sottoposti alla sola sorveglianza attiva, è "accettabile" eseguire una biopsia ogni 2 anni anziché ogni anno. È questa la conclusione di una nuova analisi, appena pubblicata su Annals of Internal Medicine, che combina i dati a livello di singolo paziente provenienti da quattro importanti studi in corso.

Il ritardo nel rilevare la progressione della malattia associato alla biopsia biennale, rispetto a quella annuale, varia dai 3 ai 5 mesi, un arco di tempo definito "modesto", che è molto improbabile possa influenzare l’outcome o a lungo termine del paziente, ha detto l’autrice senior del lavoro, Ruth Etzioni, del Fred Hutchison Cancer Research Center di Seattle.

I risultati sono importanti perché non vi è consenso sull'implementazione della sorveglianza attiva, un approccio relativamente nuovo, anche per quanto riguarda le tempistiche di esecuzione della biopsia con ago multiplo, che è invasiva è associata a potenziali rischi.

Data la storia naturale del cancro alla prostata, un ritardo di 6 mesi o meno nel rilevare la progressione della malattia non cambierà l'esito finale nella "stragrande maggioranza dei casi, ma in compenso dimezza il numero di volte che un paziente deve presentarsi a fare la biopsia nel corso degli anni" ha detto la Etzioni in un’intervista.

Ha anche sottolineato che "generalmente" la riclassificazione del tumore avviene da un Gleason score pari a 3 + 3 a un Gleason score pari a 3 + 4, il che porterebbe a una riclassificazione della malattia di un paziente da rischio basso a rischio intermedio.

Quattro coorti analizzate
Nello studio da poco pubblicato, gli autori hanno analizzato i dati delle quattro coorti più ampie di pazienti sottoposti a sorveglianza attiva del Nord America: quella della Johns Hopkins University; quella del Canary Prostate Active Surveillance Study; quella della University of California di San Francisco (UCSF) e quella dell’Università di Toronto.
I diversi centri differiscono per quanto riguarda le schedule delle biopsie pianificate; gli intervalli di tempo vanno da ogni 4 anni, a Toronto, a una volta all’anno, alla Johns Hopkins, sebbene non tutti i pazienti di ciascun centro siano gestiti come pianificato.

Gli investigatori hanno confrontato i livelli di antigene prostatico specifico (PSA) e i Gleason score della biopsia di 2576 uomini che erano stati inseriti in un protocollo di sorveglianza attivo nei quattro centri tra il 1995 e il 2014. Tutti gli uomini presentavano una malattia a basso rischio: un Gleason score compreso tra 2 e 6 e un cancro alla prostata in stadio iniziale (T1 o T2).

Le conseguenze delle biopsie annuali sono risultate simili a quelle della biopsia biennale in tutte e quattro le diverse coorti: in tutti e quattro i casi, il ritardo nella rilevazione della progressione è risultato inferiore ai 6 mesi. Confrontando la biopsia biennale con quella annuale, il ritardo medio nella rilevazione della progressione è risultato più alto alla Johns Hopkins e pari a circa 5 mesi, mentre il ritardo più basso si è avuto presso l'Università di Toronto e la UCSF, pari a circa 3 mesi.

Anche i ritardi nell'individuazione dei casi di cancro alla prostata che meritavano una riclassificazione sono risultati simili in caso di biopsie più frequenti o meno frequenti, ha riferito la Etzioni.
Gli autori dello studio affermano che questa scoperta fornisce una "giustificazione quantitativa" alla recente dichiarazione dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO) sulla sorveglianza attiva per il carcinoma della prostata in stadio precoce, nella quale si appoggia la linea guida di Cancer Care Ontario, che raccomanda biopsie meno frequenti dopo la biopsia di conferma entro un anno dall'entrata nella sorveglianza attiva.
Ronald C. Chen, l'autore principale della dichiarazione dell’ASCO, professore associato di radioterapia oncologica presso lo University of North Carolina Lineberger Comprehensive Cancer Center di Durham, conferma la valutazione degli autori dello studio appena uscito. "I dati di questo nuovo studio dimostrano che le biopsie annuali non sono necessarie" ha detto l’esperto in un’intervista.

Chen ha rimarcato che il nuovo studio fornisce dati a supporto della guida ASCO, la quale raccomanda una biopsia di conferma iniziale entro 6-12 mesi, seguita da biopsie ripetute ogni 2 o 5 anni, mentre nel centro dove lui lavora gli urologi di solito raccomandano biopsie ogni 2 o 3 anni.

Elizabeth Heath, docente di oncologia e medicina presso il Karmanos Cancer Institute della Wayne State University di Detroit, nel Michigan, ha commentato il risultato dello studio dicendo che il ricorso a biopsie meno frequenti dopo una biopsia di conferma entro un anno dall'entrata nella sorveglianza è "ragionevole".

La professoressa ha poi aggiunto che far fare biopsie meno frequenti non dovrebbe esporre indebitamente gli urologi a possibili cause legali. "Non vedo alcuna vulnerabilità legale importante con questo approccio" ha affermato.

Rischio di riclassificazione diverso
Da notare che nella nuova analisi, dopo che i ricercatori hanno tenuto conto delle variabili nei protocolli e nei trattamenti concomitanti, i rischi di riclassificazione del tumore o di progressione sono risultati diversi nei pazienti delle quattro coorti di sorveglianza attiva.

Variabili come i criteri di inclusione e gli indicatori che inducono a raccomandare un trattamento definitivo sono complessi, suggeriscono gli autori.
Il rischio di riclassificazione del tumore è risultato più alto nella coorte della UCSF e più basso in quella del Johns Hopkins, mentre quello nella coorte di Toronto è risultato simile a quello riportato nel Canary Prostate Active Surveillance Study.

Quando i ricercatori hanno eliminato la variabile riguardante i trattamenti in competizione, le differenze tra le coorti nei tassi di riclassificazione sono emerse in modo ancora più marcato. Per esempio, il rischio cumulativo a 10 anni di riclassificazione in assenza di trattamenti concorrenti è risultato variabile dal 25% della coorte del Johns Hopkins al 65% di quella della UCSF.

La Etzioni e i colleghi ipotizzano che alla base di tali discrepanze potrebbero esservi differenze non colte tra le quattro coorti nei profili dei pazienti. Per esempio, i pazienti della Johns Hopkins avevano tutti un carcinoma prostatico a rischio molto basso, con livelli di PSA bassi (<0,15 µg/l per ml), che a loro volta potrebbero derivare da un volume prostatico più alto. Quindi, negli uomini con prostate più voluminose, è probabile che la possibilità di identificare foci di alto grado sia ridotta, sottolineano gli autori dello studio.

Nel complesso, comunque, gli autori segnalano che i risultati di una singola coorte di sorveglianza attiva potrebbero non riflettere i rischi di progressione del cancro alla prostata in un'altra popolazione.

L.Y.T. Inoue, et al. Comparative Analysis of Biopsy Upgrading in Four Prostate Cancer Active Surveillance Cohorts. Ann Intern Med. 2017; doi: 10.7326/M17-0548.
leggi