Oncologia ed Ematologia

Ca ovarico recidivato, per il ritrattamento resta valida la chemioterapia a base di platino

Prolungare artificialmente l'intervallo libero da platino introducendo una chemioterapia non a base di platino, prima del ritrattamento con la chemioterapia a base di platino nelle pazienti con un carcinoma ovarico ricorrente parzialmente platino-sensibile non solo non migliora l'efficacia, ma addirittura peggiora gli outcome. È questo il verdetto dello studio MITO8 (Multicentre Italian Trials in Ovarian Cancer 8) un trial multicentrico randomizzato di fase III. Lo studio, frutto interamente della ricerca italiana, è stato presentato in occasione del congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO), terminato di recente a Chicago.

Prolungare artificialmente l'intervallo libero da platino introducendo una chemioterapia non a base di platino, prima del ritrattamento con la chemioterapia a base di platino nelle pazienti con un carcinoma ovarico ricorrente parzialmente platino-sensibile non solo non migliora l'efficacia, ma addirittura peggiora gli outcome. È questo il verdetto dello studio MITO8 (Multicentre Italian Trials in Ovarian Cancer 8) un trial multicentrico randomizzato di fase III. Lo studio, frutto interamente della ricerca italiana, è stato presentato in occasione del congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), terminato di recente a Chicago.

Sulla base di questi risultati, il ritrattamento immediato con la chemioterapia a base di platino rimane la strategia di trattamento standard per queste pazienti, ha riferito Sandro Pignata, dell’Istituto Nazionale Tumori ‘Fondazione Pascale’ di Napoli.

L'idea che una terapia non a base di platino potrebbe artificialmente prolungare l'intervallo libero da platino, migliorando in tal modo gli outcome nelle pazienti con tumore ovarico che hanno avuto una recidiva nei 6-12 mesi dopo aver risposto alla terapia a base di platino, è stata proposta più di 20 anni fa. Nonostante la mancanza di dati prospettici relativi a questo approccio non a base di platino, l'idea è stata utilizzata con successo per commercializzare agenti chemioterapici non contenenti platino come paclitaxel, topotecan, doxorubicina liposomiale pegilata (PLD), e, più recentemente, la combinazione PLD-trabectedina prima di ricominciare la chemioterapia a base di platino, ha spiegato Pignata.

In effetti, un’analisi retrospettiva del 2007 (lo studio SOCRATES) aveva mostrato che il 35% delle pazienti recidivate 6-12 mesi dopo la terapia a base di platino erano state trattate con un agente singolo non contenente platino prima del ritrattamento con una terapia a base di platino, e che quest’approccio è stato utilizzato come gruppo di controllo in diversi studi di fase III che hanno incluso pazienti con un intervallo libero da platino di 6-12 mesi. I risultati indicano che un’ipotesi non dimostrata è stata adattata alla pratica clinica, ma gli autori non sono riusciti a dimostrare un vantaggio associato a quest’approccio e hanno concluso che erano opportune ulteriori indagini.

MITO8, frutto di uno sforzo collaborativo tra diverse istituzioni, è stato progettato per verificare se il prolungamento artificiale dell’intervallo libero da platino con un trattamento con un agente singolo non contenente platino potesse migliorare la sopravvivenza globale (OS) nelle pazienti affette da un tumore ovarico recidivato parzialmente platino sensibile.

In 107 di queste donne assegnate al braccio sperimentale - sottoposte prima a una chemioterapia non a base di platino per prolungare l'intervallo libero da platino, seguita da una chemioterapia a base di platino dopo la progressione - Il tempo mediano dalla precedente terapia a base di platino è risultato di 8 mesi, e quello dalla randomizzazione al platino di 7,8 mesi. L’OS mediana, l'endpoint primario dello studio, è risultata di 21,8 mesi.

Nelle 108 pazienti assegnate alla terapia standard immediata con la chemioterapia a base di platino seguita da una terapia non a base di platino, il tempo mediano dalla precedente terapia a base di platino alla randomizzazione è risultato di 8 mesi e l’OS è stata di 24,5 mesi (HR a favore della chemioterapia a base di platino 1,38).

Pignata ha riferito che la differenza in termini di OS si è avvicinata alla significatività statistica, ma non l’ha raggiunta.

La sopravvivenza libera da progressione (PFS) dopo il secondo trattamento (endpoint secondario dello studio) è risultata di 12,8 mesi nel braccio sperimentale contro 16,4 mesi nel braccio di confronto (HR 1,41) e questa differenza era statisticamente significativa.

Non si sono, invece, osservate differenze tra i due gruppi rispetto alla sicurezza o alla tossicità.

Le donne arruolate nello studio MITO8 erano pazienti con un carcinoma ovarico recidivato nel lasso di tempo fra i 6 e 12 mesi dopo la precedente chemioterapia a base di platino; avevano già fatto non più di due linee precedenti di chemioterapia, avevano un buon performance status e avevano una funzione d’organo normale.

La terapia non a base di platino usata nello studio comprendeva doxorubicina liposomiale pegilata, tranne durante un periodo in cui le scorte di quest’agente scarseggiavano e si sono perciò utilizzati altri agenti singoli, tra cui gemcitabina e topotecan. La maggior parte delle pazienti, tuttavia, è stata trattata con PLD.

La terapia a base di platino era carboplatino più paclitaxel o, nelle pazienti che presentavano neurotossicità al basale, carboplatino e gemcitabina.

La carenza di PLD è stata solo una delle numerose difficoltà incontrate durante lo studio. L’arruolamento è iniziato nel 2009, ma è stato temporaneamente sospeso nel 2011 per via della scarsità di PLD. Nel 2012, è stato approvato un emendamento per consentire di utilizzare altre chemioterapie non a base di platino nella maggior parte dei centri e l’arruolamento è ripreso. Tuttavia, l’arruolamento è rallentato ed è stato poi chiuso nel 2015. Lo studio è stato interrotto in anticipo sul previsto e l'ultima analisi è stata condotta nel marzo 2016 quando gli eventi hanno raggiunto un plateau. I ricercatori, in collaborazione con il comitato indipendente di monitoraggio dei dati, hanno stabilito che i risultati "dovevano comunque essere presentati presto perché possono ancora influenzare la pratica clinica".

Pignata detto che l'ipotesi "si basava sul fatto che ci fossero più risposte nelle pazienti trattate con platino dopo una terapia non a base di platino, ma non è stato così ... le risposte sono state più frequenti nel gruppo trattato prima con platino e successivamente con una terapia non a base di platino" ha detto. Le percentuali di risposta sono state pari al 43% nel braccio sperimentale contro 56% nel braccio di confronto tra le responder secondo i criteri RECIST e rispettivamente 70% contro 75% tra le responder in base al CA125.

I risultati di MITO8, uno dei primi studi clinici su donne con carcinoma ovarico a valutare due diverse sequenze di chemioterapia, lanciano un “messaggio forte, e cioè che, anche in presenza di una bella ipotesi, dobbiamo attendere i risultati degli studi clinici prospettici prima di cambiare la pratica clinica" ha detto l’autore.

Maurie Markman del Cancer Treatment Centers of America di Boca Raton, in Florida, invitata a discutere lo studio, ha elogiato il lavoro di Pignata e i colleghi, definendolo uno studio "elegante" e "uno sforzo straordinario", ma ha anche aggiunto che "in quest’analisi incredibilmente importante, l'ipotesi era sbagliata".

Lo studio è un esempio di "un’ipotesi semplice, provocante, e potenzialmente molto rilevante dal punto di vista clinico che dovrebbe poter essere testata rapidamente sia in un contesto di gruppo cooperativo sia in svariate istituzioni interessate alle neoplasie ginecologiche ... quando viene proposta inizialmente o poco dopo”. Un’attesa di 20 anni è inaccettabile, ha aggiunto, chiedendosi quante donne con un carcinoma ovarico in questo lungo arco di tempo avranno fatto una chemioterapia di seconda linea seguendo questo approccio concettuale e potrebbero essere state effettivamente danneggiate.

Per evitare tali risultati in futuro, la Markman ha proposto di basarsi di più "su studi di popolazione non randomizzati che comprendano le pazienti del mondo reale gestite con una varietà di approcci con i dati sensibili protetti in modo sicuro inseriti in una banca dati pubblica e per questo database ha proposto CancerLinq dell’ASCO”.