I pazienti che fanno la radioterapia dopo un intervento per un tumore al cervello potrebbero avere meno necrosi tissutale da radiazioni se trattati anche con bevacizumab. Lo evidenzia uno studio retrospettivo della Duke University di Durham, appena presentato a Boston all’ultimo congresso dell’American Society for Radiation Oncology (ASTRO). Il trattamento con l’anticorpo ha anche migliorato la sopravvivenza globale dei pazienti.

Lo studio mostra che oltre la metà (il 50,6%) di coloro che sono stati sottoposti alla sola radiochirurgia stereotassica (SRS) ha sviluppato necrosi tissutale contro il 2,9% dei pazienti trattati con bevacizumab in concomitanza con la radioterapia e il 6,3% di quelli trattati con l’anticorpo come terapia adiuvante (P <0,001).

"Bevacizumab è associato a un minor rischio di necrosi da radiazioni nei pazienti sottoposti a radiochirurgia stereotassica per asportare un glioma in recidiva ma il meccanismo alla base di questo effetto è ancora ignoto” ha detto il primo autore del lavoro Kyle Cuneo (ora passato alla University of Michigan di Ann Arbor), presentando i dati al congresso ASTRO.

Quel che è certo, ha detto il radioterapista, è che "dopo un intervento di chirurgia stereotassica per un glioblastoma multiforme c’è un rischio elevato di necrosi da radiazioni".

Per prevenire quest’effetto sono state tentate strade diverse, con scarso successo: ossigeno iperbarico, vitamina E, eparina o warfarin. Gli autori della Duke hanno voluto, invece, verificare l’efficacia di bevacizumab in questo senso.

A tale scopo, hanno analizzato gli outcome di 102 soggetti sottoposti alla SRS tra il marzo 2002 e il luglio 2011 per trattare una recidiva di un glioma di alto grado (WHO III-IV). Tutti i pazienti erano stati sottoposti in precedenza a resezione chirurgica, radioterapia a fasci esterni e terapia sistemica con temozolomide presso il Duke University Medical Center. La necrosi da radiazione è stata diagnosticata mediante biopsia o imaging multimodale.

Di questi pazienti, 58 (con un’età media di 53 anni) sono stati trattati con bevacizumab in concomitanza con la SRS, 21 (con un’età media di 47 anni) con bevacizumab adiuvante, dopo la SRS, e 23 (con un’età media di 53 anni) con la sola SRS, senza il biologico (P = 0,49).

La sopravvivenza globale a un anno dopo la SRS è stata del 56,7% nel gruppo trattato con bevacizumab in concomitanza, del 58,9% in quello trattato con bevacizumab adiuvante e del 38% nei pazienti non trattati con l’anticorpo.
Inoltre, i soggetti trattati con il biologico hanno raggiunto una sopravvivenza globale mediana di 13,5 mesi contro 7,2 mesi nei pazienti sottoposti alla sola SRS (P = 0,035).

Infine, i pazienti che hanno mostrato un performance status inferiore a 80 sono stati più numerosi nel gruppo che ha fatto solo la SRS che non nei gruppi trattati anche con bevacizumab: rispettivamente, 8 contro 4 nel gruppo concomitante e 3 in quello adiuvante (P = 0,001).

"Vista la sua natura retrospettiva, i risultati dello studio dovrebbero ora essere confermati in trial più ampi” ha detto Cuneo.
Arnab Chakravarti, del James Comprehensive Cancer Center presso la Ohio State University di Columbus, invitato come discussant alla presentazione del lavoro, ha detto di ritenere che bevacizumab come un antinfiammatorio non steroideo sia in grado di ridurre la tossicità da radiazioni e quella da temozolomide associata alle radiazioni, e che questa potrebbe essere l'indicazione ottimale del biologico in tale setting.

"Gli antinfiammatori non steroidei tendono a ridurre l’estensione dell’edema” ha spiegato l’esperto. “La necrosi ha molte componenti differenti che contribuiscono alla sua insorgenza, e penso che bevacizumab possa avere un impatto su di essa e, se non sulla necrosi stessa, sull’edema che colpisce il tessuto circostante".

K. Cuneo, et al. Impact of concurrent and adjuvant bevacizumab on the risk of radiation necrosis following radiosurgery for recurrent glioma. Int J Radiation Oncol Biol Phys 2012; 84(35): 57; abstract 15.
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Alessandra Terzaghi