Oncologia ed Ematologia

Leucemia linfatica cronica, aggiunta di idelalisib allo standard of care migliora la sopravvivenza nei pazienti ricaduti/refrattari

Nei pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata/refrattaria, il trattamento con idelalisib in combinazione con bendamustina e rituximab migliora la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto allo standard of care, che è in questo setting è rappresentato da bendamustina e rituximab. È quanto emerge da un'analisi ad interim di uno studio internazionale di fase III pubblicato di recente su The Lancet Oncology.

Nei pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata/refrattaria, il trattamento con idelalisib in combinazione con bendamustina e rituximab migliora la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto allo standard of care, che è in questo setting è rappresentato da bendamustina e rituximab. È quanto emerge da un’analisi ad interim di uno studio internazionale di fase III pubblicato di recente su The Lancet Oncology.

Tuttavia, avvertono gli autori nelle conclusioni, “occorre prestare molta attenzione alla gestione degli aventi avversi seri e delle infezioni associate a questo trattamento durante la selezione del trattamento”.

Il trial, randomizzato, controllato e in doppio cieco, ha coinvolto 416 pazienti arruolati presso 110 centri di 19 Paesi, tra cui gli Stati Uniti. I partecipanti sono stati assegnati in rapporto 1:1 al trattamento con bendamustina 70 mg/m2 nei giorni 1 e 2 per 6 cicli di 28 giorni più rituximab 375 mg/m2 il giorno 1 del ciclo 1 e 500 mg/m2 il giorno 1 dei cicli da 2 a 6 più idelalisib 150 mg due volte al giorno oppure un placebo fino alla progressione della malattia o alla comparsa di una tossicità insopportabile dal paziente.

I soggetti inclusi avevano almeno 18 anni, una linfoadenopatia misurabile con la tomografia computerizzata o la risonanza magnetica e avevano mostrato segni di progressione della malattia entro 36 mesi dall'ultima terapia precedente. La randomizzazione è stata stratificata in funzione della presenza di un alto rischio (presenza di IGHV non mutate, della delezione 17p o di mutazioni di TP53) e refrattarietà vs ricaduta. L'endpoint primario era la PFS valutata da un comitato di revisori indipendenti nella popolazione intent-to-treat.

L'età media era di 62 anni nel gruppo idelalisib e 64 anni nel gruppo di controllo; i pazienti erano uomini rispettivamente nel 77% e 75% dei casi e bianchi rispettivamente nel 90% contro 91%; il tempo mediano trascorso dalla diagnosi era rispettivamente di 74 e 75 mesi, e lo stadio Rai era 0, I, II, III e IV rispettivamente nell’1% contro 2%, 19% contro 20%, 29% contro 34%, 10% contro 8% e 40% contro 33% dei pazienti.

In entrambi i gruppi, i pazienti avevano già fatto una mediana di due trattamenti (range: 1-4 in entrambi i casi); il 16% nel gruppo nel gruppo idelalisib e il 18% nel gruppo di controllo era risultato refrattario alla fludarabina, meno dell’1% non era stato già trattato con un anticorpo anti-CD20 e i trattamenti precedenti comprendevano regimi contenenti fludarabina rispettivamente nel 93% contro il 90% dei casi. I pazienti ricaduti erano rispettivamente il 66% contro 68% e quelli refrattari il 34% contro 33%, mentre erano portatori della delezione 17p rispettivamente il 18% dei pazienti contro 19%, di mutazioni di TP53 rispettivamente il 33% contro 33% e di IGHV non mutate rispettivamente l’84% contro 83%.

Miglioramento della sopravvivenza e della risposta con idelalisib
Un’analisi ad interim di efficacia provvisoria prevista dal protocollo e riferita ai dati ottenuti fino al giugno 2015, quando la durata mediana del follow-up era di 11 mesi e si era verificato il 75% dei 260 eventi legati alla sopravvivenza senza progressione specificati, ha fatto sì che il comitato indipendente di monitoraggio dei dati raccomandasse di togliere il cieco allo studio, alla luce dell’elevata efficacia dimostrata da idelalisib.

In analisi aggiornata con un follow-up mediano di 14 mesi, la PFS mediana è risultata di 20,8 mesi (IC al 95% 16,6-26,4 mesi) nel gruppo idelalisib contro 11,1 mesi (IC al 95% 8,9-11,1 mesi) nel gruppo placebo (HR 0,33, P < 0,0001). L’HR è risultato a favore di idelalisib in tutti i sottogruppi specificati dal protocollo e significativo nella maggior parte dei casi, mentre si è avvicinato alla significatività statistica in 78 pazienti con la delezione 17p (HR 0,62; IC al 95% 0,37-1,04).

“Se l'obiettivo della terapia è quello di massimizzare la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale, si dovrebbe essere prendere in considerazione l'aggiunta di idelalisib a bendamustina più rituximab” scrivono i ricercatori, guidati da Andrew D. Zelenetz, del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York.

La sopravvivenza globale (OS) mediana non è stata raggiunta nel gruppo idelalisib ed è risultata di 31,6 mesi (IC al 95% 21,3 mesi-NR) nel gruppo placebo (HR 0,62; P = 0,031). Anche in questo caso, gli HR sono risultati a favore di idelalisib in tutti i sottogruppi specificati dal protocollo, anche se lo studio non aveva la potenza statistica necessaria per rilevare un beneficio significativo nell'analisi dei sottogruppi.

La percentuale di risposta complessiva è risultata rispettivamente del 70% contro 45%, con durate della risposta mediane rispettivamente di 22,8 mesi contro 11,2. Inoltre, si è osservata una riduzione di almeno il 50% della somma dei diametri perpendicolari dei linfonodi rispettivamente nel 97% e 61% dei pazienti, una riduzione della splenomegalia rispettivamente nell'85% e 57% e una riduzione dell’epatomegalia rispettivamente nel 58% e 43%.

Attenzione agli eventi avversi
Gli eventi avversi più comuni di qualunque grado sono stati la neutropenia (con un’incidenza del 64%) e la piressia (41%) nel gruppo idelalisib e la neutropenia (55%) e la nausea (34%) nel gruppo placebo, mentre i più comuni eventi avversi di grado ≥ 3 sono stati la neutropenia (60%) e la neutropenia febbrile (23%) nel gruppo idelalisib e la neutropenia (47%) e la trombocitopenia (13%) nel gruppo placebo. Tra gli eventi avversi di grado ≥ 3 verificatisi più frequentemente nel gruppo idelalisib ci sono stati anche la diarrea (9% contro 2%), e l’aumento dell’alanina transaminasi (21% contro 3%) e dell’aspartato transaminasi (15% contro 2%). Infezioni di qualsiasi grado si sono sviluppate rispettivamente nel 69% dei pazienti contro il 59%, e nel 39% contro il 25% sono state di grado ≥ 3.

Gli eventi avversi gravi hanno avuto un’incidenza rispettivamente del 68% contro 44% e i più frequenti nel gruppo idelalisib sono stati la neutropenia febbrile (20% contro 5%) e la polmonite (14% contro 7%). Il trattamento è stato interrotto a causa di eventi avversi rispettivamente nel 27% e 13% dei pazienti, mentre gli eventi avversi hanno portato al decesso rispettivamente l'11% eil 7% dei pazienti.

"Questo trial randomizzato di fase III, controllato con placebo, è, per quanto ne sappiamo, il primo studio a dimostrare che l'aggiunta del farmaco mirato idelalisib al regime standard bendamustina più rituximab porta a un miglioramento della sopravvivenza libera dalla progressione e della sopravvivenza globale nei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica recidivata o refrattaria” scrivono Zelenetz e i colleghi nelle conclusioni.

“I nostri risultati suggeriscono che anche se la chemioimmunoterapia con bendamustina e rituximab ha un ruolo nella gestione di questi pazienti, occorre considerare l'aggiunta di idelalisib a questo regime standard se l'obiettivo della terapia è quello di massimizzare gli endpoint clinicamente rilevanti della sopravvivenza libera dalla progressione, della sopravvivenza globale e della durata della risposta” sottolineano i ricercatori, ribadendo, tuttavia, la necessità di prestare la massima attenzione alla gestione degli eventi avversi gravi e delle infezioni associate a questo regime durante la selezione del trattamento.

A.D. Zelenetz, et al: Idelalisib or placebo in combination with bendamustine and rituximab in patients with relapsed or refractory chronic lymphocytic leukaemia. Lancet Oncol. 2017;18:297-311.
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