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Leucemia linfatica cronica, con acalabrutinib a durata fissa più venetoclax in prima linea 77% dei pazienti non è in progressione a 3 anni. #ASH24

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Un nuovo regime completamente orale a durata fissa può cambiare lo standard di cura in prima linea della leucemia linfatica cronica. I risultati positivi dello studio di fase 3 AMPLIFY mostrano che acalabrutinib in combinazione con venetoclax ha prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla chemioimmunoterapia standard di cura nei pazienti adulti con leucemia linfatica cronica (CLL) non trattati in precedenza.

Questi risultati sono stati presentati al Congresso annuale 2024 dell’American Society of Hematology (ASH) che si è svolto recentemente a San Diego, dove lo studio AMPLIFY è stato premiato come “Best of ASH” 2024.

Riduzione significativa del rischio di progressione o morte per le combinazioni con venetoclax
Al follow up mediano di 41 mesi, i risultati hanno mostrato che acalabrutinib più venetoclax ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 35% rispetto alla chemioimmunoterapia standard di cura (HR 0,65; IC al 95% 0,49-0,87; P = 0,0038).

Acalabrutinib più venetoclax con obinutuzumab ha dimostrato una riduzione del rischio di progressione di malattia o di morte del 58% rispetto alla chemio-immunoterapia standard di cura (HR 0,42; IC al 95% 0,30-0,59; P < 0,0001). La PFS mediana non è stata raggiunta nei due bracci sperimentali rispetto alla PFS mediana di 47,6 mesi con la chemioimmunoterapia.

I dati ad interim di sopravvivenza globale (OS) dimostrano una tendenza favorevole nominalmente statisticamente significativa con acalabrutinib più venetoclax (HR 0,33; IC al 95% 0,18-0,56; P < 0,0001), tuttavia, i dati di OS erano immaturi al momento di questa analisi e lo studio continua a valutare l’OS come endpoint secondario principale.

«Ogni anno, in Italia, si stimano circa 3000 nuovi casi di leucemia linfatica cronica. È una neoplasia ematologica caratterizza dall’eccessiva produzione di un particolare tipo di globuli bianchi, i linfociti B maturi», ha spiegato Alessandra Tedeschi, Specialista Ematologo della Struttura complessa di Ematologia, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, e uno degli autori dello studio AMPLIFY.

«La malattia ha un andamento clinico eterogeneo, infatti una percentuale significativa di pazienti non presenta sintomi, arriva alla diagnosi in seguito a controlli eseguiti per altri motivi e rimane stabile per molto tempo, senza necessità di terapia. In altri pazienti, invece, la malattia progredisce e determina sintomi come anemia, ingrossamento dei linfonodi, piastrinopenia o ingrossamento della milza.

In questi casi diventano fondamentali i trattamenti. I pazienti sono, nella maggior parte dei casi, anziani, spesso con comorbidità determinate anche dall’età avanzata. La chemioimmunoterapia, un tempo, rappresentava lo standard di cura in prima linea, ma oggi è superata dalle terapie mirate, costituite dagli inibitori di BTK e di BCL-2, anche in combinazione con altri farmaci. In particolare, acalabrutinib, inibitore di BTK di seconda generazione, ha già evidenziato benefici significativi in termini di efficacia e tollerabilità a lungo termine come monoterapia nel trattamento in prima linea.

L’Ospedale Niguarda è il centro che, in Italia, ha arruolato il maggior numero di pazienti dello studio AMPLIFY. Nel trial, che ha coinvolto 867 pazienti, sono stati confrontati i due regimi costituiti dalla ‘doppietta’ acalabrutinib più venetoclax, che è un inibitore di BCL-2, e dalla ‘tripletta’ acalabrutinib più venetoclax e obinutuzumab, un anticorpo monoclonale, rispetto alla chemioimmunoterapia. AMPLIFY paragona quindi tre schemi di terapia in prima linea, tutti a durata fissa: la doppietta e la tripletta, con durata del trattamento di 14 mesi, e la chemioimmunoterapia per 6 mesi».

Entrambi i bracci sperimentali hanno mostrato risposte durature, con tassi stimati di sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 36 mesi del 76,5% per acalabrutinib più venetoclax e 83,1% con l’aggiunta di obinutuzumab rispetto al 66,5% per la chemioimmunoterapia. I pazienti hanno anche mostrato una risposta considerevole in entrambi i bracci sperimentali con un tasso di risposta globale (ORR) del 92,8% con acalabrutinib più venetoclax e 92,7% con l’aggiunta di obinutuzumab, rispetto al 75,2% con la chemioimmunoterapia.

«“Nei due regimi sperimentali con acalabrutinib», ha proseguito Tedeschi -«si evidenzia, quindi, un netto vantaggio rispetto alla chemioimmunoterapia, che è particolarmente evidente nei malati a più alto rischio, cioè nei pazienti con immunoglobuline di superficie non mutate. Sono state osservate anche risposte globali profonde, pari a circa il 93% in entrambi i regimi con acalabrutinib, e durature. Inoltre si conferma l’alto livello di tollerabilità di acalabrutinib.

Le linee guida ESMO raccomandano l’utilizzo di terapie a durata fissa laddove sia stata identificata pari efficacia dei trattamenti. Da un lato, grazie alla possibilità di sospendere il trattamento, si riducono gli eventi avversi a lungo termine. Dall’altro, i clinici riescono a gestire meglio la malattia, con una sensibile riduzione dei costi per il sistema sanitario. Inoltre, il regime acalabrutinib più venetoclax è completamente orale, con ulteriori vantaggi per la qualità di vita dei pazienti, che possono ridurre gli accessi in ospedale, assumendo la terapia a casa».

La sicurezza e tollerabilità di acalabrutinib sono risultate coerenti con il profilo di sicurezza già noto e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza. Gli eventi avversi di grado ≥ 3 si sono verificati nel 53,6% dei pazienti trattati con acalabrutinib più venetoclax, nel 69,4% di quelli trattati con acalabrutinib più venetoclax con obinutuzumab e nel 60,6% dei pazienti trattati con la chemioimmunoterapia standard di cura. L’evento avverso più comune di grado ≥3 è risultato la neutropenia in tutti i bracci, osservata nel 26,8%, 35,2% e 32,4% dei pazienti, rispettivamente.

In particolare, sono stati osservati tassi ridotti di sindrome da lisi tumorale (TLS) in entrambi i bracci con acalabrutinib, con eventi di ogni grado verificatisi nello 0,3% dei pazienti trattati con acalabrutinib più venetoclax e nello 0,4% con l’aggiunta di obinutuzumab, rispetto al 3,1% dei pazienti trattati con chemio-immunoterapia. Non sono stati osservati casi di TLS clinica nei bracci di trattamento con acalabrutinib.

Lo studio ECHO
Al congresso ASH sono stati presentati anche i risultati aggiornati dello studio ECHO su acalabrutinib in combinazione con chemioimmunoterapia (bendamustina e rituximab) nel trattamento di prima linea di pazienti over 65 con linfoma mantellare. Questa neoplasia rappresenta il 6% dei linfomi non Hodgkin e si stimano in Italia, ogni anno, circa 860 nuovi casi.

«Il linfoma mantellare è un tumore del sangue che ha origine nei linfonodi, diffusi in tutto l’organismo, e deriva dai linfociti B», ha affermato Carlo Visco, Professore Associato di Ematologia e Coordinatore dell’Unità Linfomi dell’Università di Verona.

«L’età media dei pazienti è di circa 65 anni. La malattia può presentarsi in diverse forme, per esempio con l’ingrossamento di un linfonodo del collo, dell’ascella o dell’inguine oppure può localizzarsi a livello gastroenterico. Un’altra forma di presentazione è costituita da alterazioni dell’emocromo, ad esempio con aumento dei linfociti.

La malattia è caratterizzata da una particolare aggressività clinica e da caratteristiche biologiche peculiari su cui si sta focalizzando, nonostante la relativa rarità, l’attenzione della ricerca scientifica».

ECHO è uno studio di fase 3 randomizzato con placebo nel braccio di confronto. «Nello studio ECHO», ha continuato Visco, «il regime di combinazione con acalabrutinib ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 27% rispetto alla chemioimmunoterapia, attuale standard di cura nei pazienti con linfoma a cellule mantellari non precedentemente trattati.

A questo risultato si associa una tendenza favorevole, non significativa dal punto di vista statistico, ma importante clinicamente, nella sopravvivenza globale grazie alla nuova combinazione. Questo vantaggio è tanto più importante perché, nello studio ECHO, i pazienti che presentavano progressione di malattia nel braccio con la terapia standard potevano passare al trattamento con acalabrutinib.

L’aggiornamento dei dati dello studio, presentati al Congresso ASH, ha inoltre dimostrato un significativo vantaggio della sopravvivenza libera da progressione anche nelle sottopopolazioni ad alto rischio (pazienti con mutazione di TP53, con alta cinetica cellulare o con morfologia blastoide), che sono le più difficili da trattare, ed è stata evidenziata una buona tollerabilità. Alla luce di queste evidenze, la combinazione acalabrutinib e chemio-immunoterapia ha il potenziale per modificare il paradigma della terapia di prima linea nei pazienti over 65 con linfoma mantellare».

Nuove prospettive con la combinazione orale a durata fissa
«Nella leucemia linfatica cronica, l’innovazione permette di guardare oltre i trattamenti basati sulla chemioterapia», ha sottolineato Rosalba Barbieri, Vicepresidente AIL (Associazione Italiana contro Leucemie Linfomi e Mieloma). «Le nuove terapie consentono di attribuire un valore diverso al tempo vissuto con la malattia cronica e la qualità di vita diventa un aspetto fondamentale.

Le prospettive offerte dalla nuova combinazione orale a durata fissa sono molto importanti anche da un punto di vista psicologico, perché il paziente, pur vivendo con una malattia cronica, è consapevole del termine finale del trattamento. La ricerca sta aprendo nuove strade anche in un tumore del sangue raro e aggressivo come il linfoma mantellare.

Terapie innovative hanno dimostrato di essere efficaci anche nelle sottopopolazioni ad alto rischio, salvaguardando anche in questi casi la qualità di vita. AIL da 55 anni è al fianco dei pazienti ematologici, supportando la ricerca scientifica per migliorare la loro qualità e aspettativa di vita e assistendo i pazienti e le famiglie in tutte le fasi del loro percorso con servizi adeguati alle loro esigenze».

Acalabrutinib è stato utilizzato per trattare più di 85.000 pazienti in tutto il mondo ed è approvato per il trattamento della CLL e del linfoma linfocitico a piccole cellule (SLL) negli Stati Uniti e in Giappone, approvato per la CLL nell’Unione Europea e in numerosi altri Paesi a livello globale e approvato in Cina per CLL e SLL ricorrenti o refrattari.

La leucemia linfatica cronica
La leucemia linfatica cronica (CLL) è il tipo di leucemia prevalente negli adulti, con oltre 100.000 nuovi casi a livello globale nel 2019. Nonostante alcuni pazienti affetti da CLL non presentino sintomi alla diagnosi, altri possono avvertire sintomi come debolezza, fatigue, perdita di peso, brividi, febbre, sudorazioni notturne, linfonodi ingrossati e dolore addominale.

Nella CLL, si verifica un accumulo di linfociti anomalo nel sangue, nel midollo osseo e nei linfonodi. Con l’aumento anomalo delle cellule, diminuisce lo spazio nel midollo per la normale produzione di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine. Questo causa infezione, anemia e sanguinamento. La segnalazione del recettore delle cellule B tramite BTK è una delle vie di sopravvivenza fondamentali per la LLC.

Lo studio AMPLIFY
AMPLIFY è uno studio globale di fase 3 randomizzato, multicentrico, in aperto per la valutazione dell’efficacia e della sicurezza di acalabrutinib in combinazione con venetoclax con e senza obinutuzumab rispetto alla chemio-immunoterapia (fludarabina-ciclofosfamide-rituximab o bendamustina-rituximab) a scelta dell’investigatore nei pazienti adulti con CLL non precedentemente trattati senza mutazione del(17p) o TP53.

I pazienti sono stati randomizzati secondo un rapporto 1:1:1 a ricevere acalabrutinib più venetoclax, acalabrutinib più venetoclax con obinutuzumab per una durata fissa oppure la chemioimmunoterapia standard di cura. In entrambi i bracci con acalabrutinib la molecola è stata somministrata per una durata fissa di 14 cicli (ognuno di 28 giorni), e la chemio-immunoterapia per 6 cicli.

L’endpoint primario è la PFS nel braccio con acalabrutinib e venetoclax definita dal Comitato di Revisione indipendente, mentre la PFS nel braccio con acalabrutinib più venetoclax con obinutuzumab è un endpoint secondario fondamentale. Altri endpoint secondari principali comprendono la OS e la malattia residua misurabile. Lo studio include 27 Paesi dell’America del Nord e del Sud, Europa, Asia e Oceania.

Lo studio AMPLIFY ha arruolato i pazienti dal 2019 al 2021, continuando durante la pandemia di COVID-19. I pazienti con tumore del sangue restano a rischio sproporzionatamente alto di risultati gravi da COVID-19, tra cui il ricovero ospedaliero e la morte, rispetto alla popolazione generale.

Acalabrutinib 
Acalabrutinib è un inibitore selettivo della tirosin-chinasi di Bruton (BTK) di seconda generazione. Acalabrutinib si lega covalentemente a BTK, inibendo la sua attività. Nelle cellule B, la segnalazione della BTK determina l'attivazione di percorsi necessari per la proliferazione, il traffico, la chemiotassi e l'adesione delle cellule B.

Acalabrutinib è anche approvato negli Stati Uniti, Cina e in numerosi altri Paesi per il trattamento dei pazienti adulti con linfoma a cellule mantellari (MCL) trattati con almeno una terapia precedente. Acalabrutinib non è attualmente approvato per il trattamento del linfoma a cellule mantellari in Giappone e Unione Europea.

Nell'ambito di un ampio programma di sviluppo clinico, acalabrutinib è attualmente in fase di valutazione come trattamento singolo e in combinazione con la chemioimmunoterapia standard di cura nei pazienti affetti da tumori del sangue multipli a cellule B, tra cui leucemia linfatica cronica (LLC), linfoma a cellule mantellari (MCL) e linfoma diffuso a grandi cellule B.

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