Oncologia ed Ematologia

Linfoma a cellule T periferiche, aggiunta di alemtuzumab al regime CHOP non allunga la vita nell'anziano

L'aggiunta dell'anticorpo monoclonale anti-CD52 alemtuzumab al regime CHOP ha aumentato le percentuali di remissione completa nei pazienti anziani con linfoma a cellule T periferiche, ma non ha migliorato la loro sopravvivenza. Lo rivelano i risultati finali dello studio multicentrico internazionale di fase III ACT-2, presentato a Chicago durante i lavori del meeting annuale dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO).

L'aggiunta dell’anticorpo monoclonale anti-CD52 alemtuzumab al regime CHOP ha aumentato le percentuali di remissione completa nei pazienti anziani con linfoma a cellule T periferiche, ma non ha migliorato la loro sopravvivenza. Lo rivelano i risultati finali dello studio multicentrico internazionale di fase III ACT-2, presentato a Chicago durante i lavori del meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO).

Il primo firmatario del lavoro, Lorenz H. Trumper, dell'Università di Göttingen, in Germania, ha spiegato durante la sua presentazione che il trattamento standard per questi pazienti è insoddisfacente, perché molti progrediscono rapidamente. Negli anziani colpiti da questa neoplasia, la sopravvivenza libera da malattia stimata a 3 anni è del 25%.

Studi precedenti di fase II hanno indicato che alemtuzumab è attivo nei pazienti con linfoma a cellule T periferiche primario e ricaduto, e altri studi di fase II hanno dimostrato la fattibilità di una somministrazione concomitante dell’anticorpo con il regime CHOP.

Sulla base di questi presupposti, Trumper e i colleghi hanno valutato l’effetto dell’aggiunta di alemtuzumab al regime CHOP in 116 pazienti arruolati fra il 2007 e il 2013 in 52 centri. I partecipanti sono stati assegnati in rapporto 1:1 al trattamento con sei cicli di CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone) o alemtuzumab più CHOP (A-CHOP) somministrati a intervalli di 14 giorni, aggiungendo G-CSF come terapia di supporto. Inizialmente, i pazienti sono stati trattati con un totale di 360 mg di alemtuzumab (90 mg in ciascuno dei primi quattro cicli di CHOP). Dopo l’arruolamento del trentanovesimo paziente, la dose è stata ridotta a 120 mg (30 mg in ciascuno dei primi quattro cicli di CHOP). 

L’età mediana dei pazienti era di 69 anni e il 58% erano uomini.

Il trattamento è stato completato, come previsto, nel 79% dei partecipanti assegnati al solo regime CHOP e nel 57% di quelli assegnati a A-CHOP.

Le percentuali di remissione completa sono risultate del 43% nel gruppo trattato con il solo CHOP e 60% in quello trattato con A-CHOP. Tuttavia, i ricercatori non hanno trovato differenze significative fra i due gruppi nella sopravvivenza libera da eventi (23% contro 26%) e nella sopravvivenza libera da progressione (29% contro 26%) a 3 anni. Inoltre, la sopravvivenza globale a 3 anni è risultata addirittura superiore nel gruppo trattato con il solo CHOP, anche se non in modo significativo (56% contro 38%). Non si sono evidenziate differenze significative nei tre endpoint nemmeno nell’ analisi multivariata.

Secondo Trümper, la sopravvivenza globale più bassa nel braccio trattato con alemtuzumab è da ricondursi principalmente alle tossicità legate al trattamento.

Anche se il protocollo di trattamento richiedeva un monitoraggio stretto del citomegalovirus e del virus di Epstein-Barr, nonché una profilassi anti-infettiva, si sono registrate più infezioni di grado 3 o superiore nel gruppo trattato con A-CHOP rispetto al gruppo trattato con il solo CHOP (40% contro 21%).

Le percentuali di infezione più alte nei pazienti trattati con alemtuzumab sono state attribuite all’incidenza maggiore dell’ematotossicità di grado 3/4 registrata in questo gruppo. Si è osservata leucocitopenia di grado 4 nel 70% dei pazienti trattati con A-CHOP contro il 54% di quelli trattati con il solo CHOP e trombocitopenia di grado 3/4 rispettivamente nel 19% e 13% dei pazienti.

Al momento, ha riferito Trumper, sono in corso analisi sui fattori di rischio e sui biomarker comprendenti anche i dati dello studio ACT-1, che potrebbero aiutare a individuare i pazienti in grado di beneficiare dell’aggiunta di alemtuzumab alla chemioterapia. Tuttavia, “identificare nuovi agenti che migliorino la risposta senza essere eccessivamente tossici rimane un bisogno medico non soddisfatto” ha concluso il ricercatore.

Alessandra Terzaghi

L.H. Trumper, et al. Alemtuzumab added to CHOP for treatment of peripheral T-cell lymphoma (pTNHL) of the elderly: Final results of 116 patients treated in the international ACT-2 phase III trial. J Clin Oncol 34, 2016 (suppl; abstr 7500).
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