Il 2013 è stato un anno di grandi passi avanti in concologia. I progressi compiuti nel trattamento e nella gestione di sei tipi di tumori – polmone, mammella, colon-retto, cervice uterina, fegato e melanoma sono delineati in altrettanti articoli pubblicati sul numero di febbraio di Nature Reviews Clinical Oncology, a firma di opinion leader internazionali del settore.

Ca al polmone
Stephen V. Liu e Giuseppe Giaccone, del Lombardi Comprehensive Cancer Center della Georgetown University di Washington, scrivono che diversi studi importanti nel 2013 hanno fornito informazioni preziose sull’evoluzione dei paradigmi di trattamento del cancro al polmone non a piccole cellule (NSCLC), in particolare nell’ambito dei farmaci mirati.

Gli studi PROFILE-1007 e LUX -Lung 3 hanno confermato che i farmaci mirati continuano ad essere un’opzione più efficace della chemioterapia, in particolare crizotinib nel carcinoma polmonare ALK -positivo e afatinib in quello con mutazioni dell’EGFR, mentre NCIC BR19 non si è dimostrato superiore ore a gefitinib adiuvante. Nello studio PointBreak, una terapia di mantenimento con pemetrexed più bevacizumab dopo un’induzione con una chemioterapia a base di pemetrexed non si è dimostrata superiore al solo bevacizumab come mantenimento dopo l’induzione con un regime a base di paclitaxel.

Gli autori hanno concluso che le terapie mirate sulla base del profilo genetico rappresentano il paradigma più importante nel trattamento del cancro al polmone in stadio avanzato. Sebbene l'uso di crizotinib e afatinib in gruppi di pazienti con NSCLC avanzato ben definiti dal punto vista molecolare sia giustificato da grossi trial randomizzati di fase III, lo studio su NCIC BR19 e gefitinib ricorda la necessità di fare ulteriori studi prospettici nel setting adiuvante e lo studio PointBreak serve a ricordare che dare più farmaci non è necessariamente meglio.

Ca al seno
Adrian V. Lee e Nancy E. Davidson della University of Pittsburgh scrivono che si sono fatti molti passi avanti nella conoscenza della biologia molecolare del cancro al seno e si cominciano a capire l'evoluzione di questo tumore, i meccanismi di resistenza ai farmaci e come sviluppare nuovi agenti mirati. Si è scoperto che il gene del recettore degli estrogeni (ESR1) è mutato in diversi tipi di cancro al seno in fase avanzata ormono-resistenti e potrebbe rappresentare un nuovo bersaglio terapeutico; inoltre, si è visto che mutazioni del tumore identificate nel DNA libero circolante nell’intero esoma e nell'intero genoma cambiano quando si sviluppa resistenza ai farmaci e possono riflettere la progressione della malattia.

Lee e Davidson scrivono anche che nel 2013 pertuzumab è stato il primo agente a beneficiare delle nuove linee guida dell’Fda sull'uso della risposta patologica completa come endpoint per lo sviluppo e l’approvazione accelerata di nuovi agenti e ha avuto l’ok come trattamento neoadiuvante per il cancro al seno HER2-positivo in stadio iniziale.

Nel 2013, sono stati riportati i risultati di quattro trial studi clinici progettati per ottimizzare l'uso di agenti mirati: ATLAS, aTTom, PHARE ed HERA. In termini di risultati, gli autori hanno concluso che la terapia ormonale adiuvante prolungata è più efficace rispetto a quella di breve durata, ma quella adiuvante prolungata con trastuzumab no. La differenza tra la lunghezza ottimale della terapia adiuvante con tamoxifene e quella con trastuzumab potrebbe avere diverse spiegazioni, una della quali potrebbe essere la relativa indolenza della malattia ER-positiva, nella quale le terapie endocrine, come tamoxifene, agiscono controllando la dormienza delle micrometastasi.

Ca della cervice uterina
Nell’articolo dedicato al cancro del collo dell’utero, Chris Meijer e Peter Snijders, del Vrije University Medical Centre di Amsterdam, scrivono che nel 2013 la ricerca ha confermato come l'infezione da parte del papillomavirus umano (HPV) di specifiche cellule bersaglio cuboidali embrionali della giunzione squamocolonnare predisponga alla sviluppo del precancro e del cancro della cervice uterina.

Nei Paesi sviluppati, lo screening per l’HPV ha dimostrato di offrire una protezione superiore rispetto allo screening mediante il pap test. Nelle ragazze sottoposte alla profilassi con il vaccino bivalente o quello quadrivalente contro l'HPV, il passaggio dal pap-test allo screening per l’HPV fornirà un approccio congiunto alla vaccinazione per la prevenzione del cancro.

Nei Paesi sottosviluppati, invece, l’ispezione visiva con lo screening mediante acido acetico da parte di operatori sanitari primari ben istruiti ha dato risultati importanti nella riduzione della mortalità dovuta al cancro della cervice uterina. In India, per esempio, la sua applicazione ha ridotto in modo significativo la mortalità dovuta a questo tumore dopo 12 anni. Anche se questi risultati positivi meritano un’implementazione nel breve periodo, le strategie di prevenzione a lungo termine dovrebbero concentrarsi sull'uso della vaccinazione profilattica contro l’HPV in età prepuberale e sul test dell’HPV con un metodo economico nelle donne al di sopra dei 30 anni.

Sul fronte terapeutico si è osservato un miglioramento della sopravvivenza nelle donne con un tumore in stadio avanzato sottoposte a una terapia adiuvante con bevacizumab.

Ca del colon-retto
Hans-Joachim Schmoll, della Martin Luther University di Halle, e Alexander Stein, dello University Cancer Centre di Amburgo, in Germania, scrivono che il 2013 ha portato nuove opzioni terapeutiche per i pazienti con un cancro del colon-retto metastatico ( mCRC): nuove modalità per combinare agenti tradizionali, un ulteriore affinamento dei fattori predittivi molecolari di risposta agli inibitori dell’EGFR e una nuova opzione per la terapia di salvataggio.

In prima linea, il regime a quattro farmaci FOLFOXIRI più bevacizumab si è dimostrato superiore alla combinazione di tre farmaci standard.

Un'analisi retrospettiva dello studio PRIME dimostrato che all'interno della 'classica' popolazione con gene KRAS wild-type (pazienti senza mutazioni nell’esone 2), i pazienti con mutazioni in altri esoni del gene KRAS (nell’esone 3 e 4) o del gene ANR (nell’esone 2 e 3 ) non hanno beneficiato dell’aggiunta di panitumumab al regime FOLFOX e questi dati hanno portato a far cambiare il labeling dell’anticorpo.

La necessità di indagare su tutti i tipi di mutazioni di KRAS e ANR, inoltre, è fortemente giustificata dai risultati preliminari dei primi due studi clinici (FIRE-3 e PEAK) che hanno confrontato gli inibitori del VEGF con quelli dell’EGFR in combinazione con la chemioterapia.

Nel 2013, l’approccio che prevede la continuazione di bevacizumab anche dopo la progressione ha mostrato di prolungare la sopravvivenza globale mediana di 1,4 mesi e la sopravvivenza libera da progressione di 1,6 mesi e si è visto  - fatto degno di nota - che continuare il trattamento con bevacizumab in seconda linea non aumenta gli eventi avversi. Questi dati sono in linea con l'efficacia di aflibercept, un altro inibitore del VEGF, nei pazienti in cui la chemio e bevacizumab non hanno funzionato e indicano che l'effetto coadiuvante di inibizione del VEGF in combinazione con la chemioterapia si mantiene almeno nella prima linea e nella seconda linea di trattamento.

Numerosi studi di fase III di in cui sono stati valutati diversi inibitori della tirosin-chinasi (TKI) - vatalanib, sunitinib e cediranib - in combinazione con la chemioterapia hanno mostrato un'efficacia simile e una tollerabilità inferiore rispetto alla chemioterapia con o senza bevacizumab. Regorafenib, invece, è il primo TKI che ha concluso con successo lo sviluppo clinico, ottenendo il via libera come terapia di ultima linea per i pazienti con mCRC.

La determinazione dei profili di espressione genica ha poi consentito di identificare sei sottotipi clinicamente diversi, ognuno caratterizzato da una risposta diversa alla chemioterapia e da una diversa sopravvivenza nel setting adiuvante e in quello metastatico. Oltre a mostrare di essere sensibili o resistenti ai trattamenti disponibili, alcuni sottotipi potrebbero essere sensibili anche all’inibizione di MET, che sembra essere una strategia promettente per lo sviluppo di nuovi agenti.

Ca epatocellulare

Quanto al carcinoma epatocellulare (HCC), Augusto Villanueva, del King’s College di Londra, e Josep Llovet, del IDIBAPS - Hospital Clinic dell’Università di Barcellona, scrivono che il sequenziamento genico di nuova generazione e la caratterizzazione dell’’effetto di campo’ del microambiente che promuove lo sviluppo del tumore hanno permesso di identificare fattori che giocano un ruolo essenziale e potenziali bersagli per la chemioprevenzione. In particolare, affermano i due esperti, per quanto riguarda l’HCC si è raggiunta 'la fine dell’inizio' della caratterizzazione del genoma. Si ha ora un quadro complessivo della distribuzione e dei tassi di mutazione, ma non è ancora del tutto chiaro se questi fattori abbiano un ruolo nell’alimentare la progressione. Le mutazioni più diffuse nell’HCC influenzano il promotore TERT, TP53, CTNNB1m e l’IL-6 e si stanno affermando come target affidabili per le strategie di chemioprevenzione.

Invece, sottolineano i due oncologi, lo scorso anno non si sono fatti molti progressi in termini di cambiamento del processo decisionale clinico nella gestione dell’HCC. Dopo l'approvazione di sorafenib, sei studi randomizzati e controllati che avrebbero potuto far cambiare lo standard di cura dell’HCC, in cui sono stati valutati agenti quali brivanib, erlotinib, linifanib ed everolimus, hanno dato risultati negativi sia in prima sia in seconda linea. Tuttavia, i risultati negativi degli studi di fase III rafforzano il concetto che nello sviluppo di nuovi farmaci per l’HCC si dovrebbe tener conto delle informazioni molecolari.

Melanoma
Sul fronte del melanoma, Dirk Schadendorf, della Clinica universitaria di Essen, e Axel Hauschild, del Policlinico Universitario di Kiel, in Germania, ricordano che nel 2013 si sono fatte scoperte importanti su  eventi somatici chiave, come le mutazioni di BRAF, ANR o cKIT, che si sono tradotte rapidamente nello sviluppo di farmaci importanti e in un miglioramento della sopravvivenza globale, ma anche nella comparsa di resistenza acquisita.

Oltre alla terapia mirata con inibitori di BRAF o MEK, è emerso poi un ulteriore approccio: la modulazione dei checkpoint immunitari. Nel 2013 gli studi su anticorpi diretti contro la proteina PD-1, componente essenziale assieme al suo ligando PD-L1 di un checkpoint immunitario chiave, hanno mostrato percentuali di risposta elevate e durature. Rompere la tolleranza immunitaria nei confronti del tumore con anticorpi anti-PD-1 e la possibilità di bloccare contemporaneamente diversi checkpoint immunitari combinando anticorpi differenti aprono la porta a un controllo del tumore a lungo termine. Stanno emergendo possibili sinergie tra gli inibitori dei checkpoint immunitari e inibitori di MAPK mirati, ma con queste combinazioni si sono verificati eventi avversi inattesi, per cui tali associazioni sono attualmente raccomandate solo all’interno di studi clinici.