Oncologia ed Ematologia

Mielofibrosi: con fedratinib risposta del 30% in pazienti non responsivi a ruxolitinib

Al Congresso ASCO di Chicago è stata presentata un'analisi aggiornata dei dati dello studio di fase 2 JAKARTA2 che mostrano tassi di risposta clinicamente significativi con febratinib, farmaco sperimentale (non autorizzato in Italia), in pazienti con mielofibrosi precedentemente trattati con ruxolitinib (farmaco autorizzato in Italia).

Al Congresso ASCO di Chicago è stata presentata un’analisi aggiornata dei dati dello studio di fase 2 JAKARTA2 che mostrano tassi di risposta clinicamente significativi con febratinib, farmaco sperimentale (non autorizzato in Italia), in pazienti con mielofibrosi precedentemente trattati con ruxolitinib (farmaco autorizzato in Italia).

Questa analisi aggiornata di febratinib ha utilizzato i principi di ‘intent-to-treat’ (ITT) e una definizione più stretta dei pazienti recidivati, refrattari o intolleranti a ruxolitinib.
Nella popolazione ITT (n = 97), la percentuale di pazienti che ha mostrato una riduzione del 35% o superiore del volume della milza alla fine del ciclo 6 era pari al 31% (IC 95%: 22-41). Di questi 97 pazienti, 79 (81%) rientravano tra i criteri più stretti di resistenza o intolleranza a ruxolitinib. In questa coorte, la percentuale di pazienti che ha mostrato una riduzione del 35% o superiore del volume della milza al ciclo 6 era pari al 30% (IC 95%: 21-42), in linea con il tasso di risposta osservato nella popolazione ITT.

Inoltre, la percentuale di pazienti che ha manifestato un tasso di risposta nei sintomi del 50% o superiore era pari al 27% sia nella popolazione ITT (IC 95%: 18-37) che nei pazienti inclusi nell’analisi con criteri più stretti (IC 95%: 17-39).

Le alterazioni ematologiche di grado 3-4 più frequenti sono risultate essere anemia (46%) e trombocitopenia (24%). Gli eventi avversi non ematologici più comuni correlati al trattamento in tutti i pazienti trattati sono stati diarrea (62%), nausea (56%), vomito (41%) e costipazione (21%).

“La mielofibrosi è una rara e grave malattia del midollo osseo per la quale esiste solo un’opzione di trattamento attualmente approvata”, ha affermato Claire N. Harrison, Deputy Clinical Director of Cancer and Haematology al Guy’s and St. Thomas’ NHS Foundation Trust Hospital di Londra. “I pazienti possono divenire intolleranti o resistenti alla terapia. Questi risultati aggiornati mostrano significative riduzioni del volume della milza e dei sintomi e rinforzano il potenziale di fedratinib in questi pazienti difficili da trattare che non possono più beneficiare del trattamento con ruxolitinib”.

“Febratinib ha il potenziale di essere la prima nuova opzione di trattamento dal 2011 per i pazienti con mielofibrosi“, ha aggiunto la dott.ssa Alise Reicin, Presidente, Global Clinical Development, Celgene. “I pazienti con mielofibrosi che hanno sviluppato recidiva, refrattarietà o intolleranza a ruxolitinib rappresentano una popolazione ad elevato bisogno medico insoddisfatto e siamo impegnati a portare avanti questa importante opzione di trattamento”.

Lo studio JAKARTA2
JAKARTA2 è uno studio di fase 2, multicentrico, in aperto, di singolo braccio, che ha valutato l’efficacia di fedratinib in singola dose giornaliera (dose iniziale 400 mg) in pazienti precedentemente trattati con ruxolitinib e con diagnosi di mielofibrosi primaria, a rischio intermedio-1 con sintomi, intermedio-2 o alto, mielofibrosi post-policitemia vera o mielofibrosi post-trombocitopenia essenziale. Lo studio ha arruolato 97 pazienti in 40 sedi distribuite in 10 Paesi.

L’endpoint primario era il tasso di risposta del volume della milza, definito come la percentuale di pazienti che manifestavano una riduzione del volume della milza di almeno il 35%, misurato con RMI o TAC dopo sei cicli di trattamento di un mese ciascuno. Endpoint secondari includevano il tasso di risposta dei sintomi, definito come la percentuale di pazienti che presentavano una riduzione del 50% o superiore del Total Symptom Score (punteggio dei sintomi totali) dopo sei cicli di trattamento di un mese ciascuno, misurato con il questionario/diario Myelofibrosis Symptoms Assessment Form (MFSAF) versione 2.0.

Ad agosto 2017, la FDA ha rimosso il blocco clinico sul programma di sviluppo di fedratinib che era stato posto nel 2013, dopo potenziali casi di encefalopatia di Wernicke, riportati in 8 degli 877 pazienti che avevano ricevuto una o due dosi di farmaco (meno dell’1% dei pazienti trattati). L’encefalopatia di Wernicke è una condizione neurologica indotta da deficienza di vitamina B1 che si manifesta come paralisi di uno o più muscoli extraoculari, perdita di coordinazione muscolare e confusione. I tassi di encefalopatia di Wernicke sono compresi tra 0,8% e 2,8% nella popolazione generale, come risulta da studi autoptici, comunque l’incidenza nei pazienti con neoplasie mieloproliferative è tre volte maggiore.

Fedratinib
Fedratinib è un inibitore orale delle chinasi con attività verso JAK2 (Janus Associated Kinase 2) ‘wild type’ e attivata dalla mutazione verso FLT3 (FMS-like tyrosine kinase 3). Fedratinib è un inibitore selettivo di JAK2 con potenza più elevata per JAK2 rispetto agli altri membri della famiglia JAK (JAK1, JAK3 e TYK2). Un’attivazione eccessiva di JAK2 è associata a neoplasie mieloproliferative, che includono la mielofibrosi e la policitemia vera.

In modelli cellulari che esprimono JAK2 attivato da mutazione, fedratinib ha ridotto la fosforillazione di proteine trasduttori del segnale e attivatori di trascrizione (STAT3/5), ha inibito la proliferazione cellulare e indotto la morte cellulare apoptotica.

In modelli animali di malattia mieloproliferativa guidata da JAK2V617K, fedratinib ha bloccato la fosforillazione di STAT3/5, migliorato la sopravvivenza e i segni associati alla malattia (che comprendono il numero di globuli bianchi nel sangue, l’ematocrito, la splenomegalia e la fibrosi).