Una tossicità inaccettabile ha vanificato, almeno per ora, il tentativo di integrare l'inibitore dell'angiogenesi bevacizumab nella chemioradioterapia praticata ai pazienti con un tumore al polmone non a piccole cellule (Nsclc) inoperabile. È ciò che è successo nello studio S0533, i cui risultati preliminari sono stati presentati durante i lavori dell’ASTRO, il congresso della Società americana di radiologia oncologica, terminato da poco a Boston. 

Lo studio, opera del Southwest Oncology Group (SWOG), si è interrotto con 29 pazienti arruolati nella prima delle tre coorti previste, dopo che si sono verificati due casi fatali di emottisi nel grupppo di pazienti ad alto rischio e si è notata una certa tossicità, combinata con un arruolamento lento, nei pazienti a basso rischio.


Il primo autore del lavoro, Charles R. Thomas, dell’Università di Portland (Oregon) ha detto, però, che il regime studiato ha mostrato evidenze preliminari di attività e potrebbe essere adatto per pazienti a basso rischio monitorati attentamente, ma i dati attualmente disponibili non sono sufficienti per determinarne efficacia e sicurezza in questo sottogruppo.


Questo insuccesso segue a ruota un precedente tentativo, anche questo infruttuoso, di incorporare bevacizumab ed erlotinib nella terapia multimodale per il Nscl in stadio III a causa della tossicità e della assenza di segnali di efficacia.


Al momento, la chemioradioterapia concomitante resta lo standard di cura per i pazienti con Nslc inoperabile e un buon performance status. Per più di 20 anni, il gruppo cooperativo SWOG ha sviluppato una piattaforma di trattamento costituita da una chemioterapia a base di cisplatino ed etoposide, somministrati in concomitanza con la radioterapia.


Se utilizzato in combinazione con la chemioterapia, bevacizumab ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza nei pazienti con Nsclc avanzato. Inoltre, studi preclinici hanno suggerito che l’anticorpo abbia proprietà radiosensibilizzanti nei confronti dei tumori solidi.


Dato questo background, i ricercatori dello SWOG hanno pianificato uno studio di fattibilità per stabilire il momento appropriato e l’eventuale tossicità dell’incorporazione di bevacizumab nell’attuale chemioradioterapia standard.


Gli investigatori hanno ipotizzato che l'irradiazione toracica avrebbe ridotto il rischio di emottisi così da permettere l'integrazione nel regime chemioradioterapico di un inibitore dell'angiogenesi, ha spiegato Thomas.


L’obiettivo primario dello studio S5033 era valutare la frequenza degli eventi emorragici di grado 4/5 legati all'integrazione di bevacizumab nel regime di chemioradioterapia praticato ai pazienti con Nsclc in stadio III inoperabile.


Il disegno dello studio prevedeva la somministrazione della chemioradioterapia standard, seguita da una terapia di consolidamento con docetaxel e bevacizumab, e l’articolazione del trial in tre fasi: l'inclusione del biologico nella terapia di consolidamento e due schedule diverse per la sua incorporazione nel regime chemioradioterapico.


I pazienti idonei non dovevano aver fatto in precedenza né chemioterapia, né radioterapia né essere stati operati, dovevano avere un buon performance status e non essere in trattamento con un anticoagulante a dosaggio pieno o avere qualsiasi altra condizione che comportasse un rischio di sanguinamento.


I pazienti sono stati stratificati in due gruppi: a basso e ad alto rischio, quest'ultimo definito dalla presenza di istologia squamosa, una storia di emottisi, cavitazione del tumore e localizzazione del tumore vicino a un vaso sanguigno principale.


Il disegno dello studio prevedeva l’arruolamento di 35 pazienti in ognuno dei due gruppi nella fase iniziale di valutazione, seguita dalle due fasi successive che dovevano coinvolgere 28 pazienti per ognuna delle due categorie di rischio.


Se quattro (14%) o più pazienti di un sottogruppo avessero sviluppato un’emorragia di grado 4/5, si sarebbe dovuto interrompere il trial per quella categoria. Ed è ciò che è accaduto.


Lo studio S5033 ha una storia lunga e tribolata alle spalle. Infatti, l’arruolamento dei pazienti è partito nel giugno 2006, si è chiuso temporaneamente nel mese di aprile 2007 per la comparsa di una tossicità legata a una fistola, è ripartito nel giugno 2008 e poi si è chiuso definitivamente per il gruppo ad alto rischio nel marzo 2009 a causa degli eventi emorragici verificatisi. Questa sospensione è stata seguita, un anno più tardi, dall’interruzione anche del braccio a basso rischio a causa della lentezza dell’arruolamento dei pazienti. Inoltre, ha riferito Thomas, tutto lo studio è stato costellato da cambiamenti del protocollo.


Quando il trial è stato interrotto definitivamente erano stati arruolati 16 pazienti nel braccio a basso rischio e 13 nel braccio ad alto rischio. I pazienti in cui si sono potuti valutare gli eventi avversi durante la chemioradioterapia sono risultati 14 nel primo gruppo e 11 nel secondo. La valutazione degli eventi avversi durante la fase di consolidamento ha riguardato, invece, 13 pazienti a basso rischio e sette ad alto rischio.


Si sono ottenute una risposta parziale nei pazienti a basso rischio e tre tra i pazienti ad alto rischio. Durante il consolidamento, invece, tre pazienti a basso rischio e due ad alto rischio hanno avuto una stabilizzazione della malattia.


Le analisi di tossicità durante la chemioradioterapia hanno mostrato due casi di neutropenia di grado 3, due di trombocitopenia e due di alterazioni elettrolitiche nel braccio a basso rischio, nonché un caso di neutropenia di grado 4 e due di leucopenia di grado 4.


Nel gruppo ad alto rischio, le tossicità di grado 3 sono state rappresentate da tre casi di neutropenia e tre di anomalie degli elettroliti, due di leucopenia e di neutropenia febbrile e un caso ciascuno di anemia, disfunzione renale, nausea, esofagite e polmonite. Inoltre, tre pazienti hanno manifestato una neutropenia di grado 4, uno ha mostrato una leucopenia di grado 4 e uno una neutropenia febbrile.


Durante la terapia di consolidamento, l'unica tossicità grave nel gruppo a basso rischio è stato un solo caso di polmonite di grado 3. Nel gruppo ad alto rischio, due dei primi sette pazienti hanno avuto eventi emorragici fatali, determinando la chiusura di quel braccio dello studio. Altre tossicità nei pazienti ad alto rischio sono state due casi di anemia di grado 3/4, un caso di anomalie degli elettroliti e uno di polmonite.


Infine, la sopravvivenza globale mediana è stata di 23 mesi nei pazienti a basso rischio e 17 mesi nel gruppo ad alto rischio.


C.R. Thomas, et al. Initial cooperative group experience of bebvacizumab plus concomitant chemoradiation therapy in patients with inoperable locally advanced stage III non-small cell lung cancer: Preliminary results of S0533. ASTRO 2012; abstract 386
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