Oncologia ed Ematologia

Primi dati positivi su pembrolizumab nel linfoma di Hodgkin

L'anticorpo monoclonale anti-PD-1 pembrolizumab si è dimostrato sicuro e attivo in un piccolo studio su pazienti con linfoma di Hodgkin classico recidivante o refrattario, la cui malattia era progredita dopo un trattamento con brentuximab vedotin. Il lavoro è appena stato pubblicato sul Journal of Clinical Oncology e si riferisce a una coorte specifica dello studio multicentrico di fase 1b KEYNOTE-013.

L’anticorpo monoclonale anti-PD-1 pembrolizumab si è dimostrato sicuro e attivo in un piccolo studio su pazienti con linfoma di Hodgkin classico recidivante o refrattario, la cui malattia era progredita dopo un trattamento con brentuximab vedotin. Il lavoro è appena stato pubblicato sul Journal of Clinical Oncology e si riferisce a una coorte specifica dello studio multicentrico di fase 1b KEYNOTE-013.

Il 90% dei pazienti analizzati ha mostrato una qualche evidenza di riduzione della massa tumorale durante il trattamento.

"L'alta percentuale di risposta al blocco di PD-1 ottenuta in questo studio corrobora l'ipotesi che il linfoma di Hodgkin classico sia fortemente dipendente dal pathway di PD-1 per la sopravvivenza" scrivono gli autori, guidati da Philippe Armand, del Dana-Farber Cancer Institute di Boston. "La sensibilità definita geneticamente del linfoma di Hodgkin al blocco di PD-1 distingue questo tumore dalla maggior parte delle altre neoplasie solide ed ematologiche, e potrebbe spiegare il motivo per cui la risposta terapeutica al blocco di PD-1 nel linfoma di Hodgkin è più alta rispetto a qualsiasi altro tipo di tumore studiato fino ad oggi" aggiungono i ricercatori.

Il linfoma di Hodgkin classico mostra frequentemente alterazioni genetiche che portano a una sovraespressione dei ligandi di PD-1 e suggeriscono quindi una possibile sensibilità al blocco di questo checkpoint immunitario. Nello studio KEYNOTE-013 si sono testate efficacia e sicurezza di pembrolizumab in pazienti con diverse neoplasie ematologiche e quelli con linfoma di Hodgkin, in virtù di queste alterazioni genetiche, sono stati raggruppati in una coorte a sé stante.

L’analisi pubblicata sul Jco si riferisce appunto a 31 pazienti con linfoma di Hodgkin recidivato o refrattario, in progressione dopo un trattamento con brentuximab vedotin, trattati con pembrolizumab 10 mg/kg ogni 2 settimane fino alla progressione della malattia. Gli endpoint principali erano la sicurezza e la percentuale di remissione completa, e la risposta è stata valutata la prima volta dopo 12 settimane e poi ogni 8 settimane.

Il campione era stato pesantemente pretrattato; il 55% dei pazienti avevano già fatto quattro o più linee di terapia e il 71% era ricaduto dopo un trapianto autologo di cellule staminali (ASCT).

Dopo il trattamento, cinque pazienti su 31 (il 16%). hanno ottenuto una remissione completa. Altri 15 (il 48%) hanno raggiunto una risposta parziale e la percentuale di risposta complessiva è stata del 65%. Tuttavia, 28 dei 31 pazienti (il 90%) hanno mostrato una qualche diminuzione della massa tumorale.

Nella discussione, Armand e i colleghi segnalano però che la percentuale di remissione completa è risultata più bassa del previsto, ma aggiungono che rispetto a quando è stato disegnato lo studio è poi diventato evidente che con il blocco dei checkpoint immunitari non si ottengono comunemente risposte complete nei tumori solidi o neoplasie ematologiche.

Dei 20 pazienti che hanno risposto a pembrolizumab, dopo un follow-up mediano di circa 18 mesi il 70% di essi ha avuto una risposta di durata non inferiore a 24 settimane. La maggior parte delle risposte migliori si è osservata nella prima valutazione a 12 settimane.

La sopravvivenza libera da progressione è risultata del 69% a 24 settimane e 46% a 52 settimane.

"Nel presente lavoro, la percentuale di risposta a pembrolizumab è apparsa più bassa nei pazienti naïve al trapianto, che rappresentavano il 30% di quelli valutabili, rispetto quelli ricaduti dopo il trapianto di staminali (44% contro 73%)" scrivono i ricercatori. "Questo dato è coerente con quanto emerso in studi precedenti, che hanno evidenziato, in generale, una percentuale di risposta inferiore e una prognosi peggiore per i pazienti non candidabili al trapianto perché non responder ai regimi di salvataggio a dosaggio standard".

Gli eventi avversi più comuni sono stati ipotiroidismo, diarrea, nausea e polmonite. Nel 16% dei pazienti si sono manifestati eventi avversi di grado 3 correlati al farmaco, mentre non ci sono stati eventi avversi di grado 4 o decessi correlati al trattamento.

"I nostri risultati suggeriscono, inoltre, che il trattamento con pembrolizumab promuove l'espansione delle popolazioni di cellule T ed NK nel sangue periferico, e porta a una sovra regolazione del patwhay attivato dall’IFN gamma, suggerendo che la modulazione dell’asse PD-1/PD-L1 attivi il pathway di segnalazione di cellule T/IFN gamma " scrivono i ricercatori.

Armand e i colleghi concludono, quindi, che nella loro coorte di pazienti pesantemente pretrattati pembrolizumab ha mostrato un profilo di sicurezza favorevole e buone percentuali di risposta, che giustificano ulteriori studi sul farmaco in questa popolazione di pazienti.

P. Armand, et al. Programmed Death-1 Blockade With Pembrolizumab in Patients With Classical Hodgkin Lymphoma After Brentuximab Vedotin Failure. J Clin Oncol. 2016; doi: 10.1200/JCO.2016.67.3467
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