Passi avanti nella lotta contro i tumori neuroendocrini del pancreas in fase avanzata. Due studi di fase III appena pubblicati sul New England Journal of Medicine dimostrano, rispettivamente, che l'inibitore delle tirosin chinasi sunitinib (Sutent, Pfizer) e l'inibitore selettivo di mTOR everolimus (Afinitor, Novartis) migliorano in modo significativo la sopravvivenza nei pazienti colpiti da queste neoplasie.
Nel primo dei due trial sunitinib ha più che raddoppiato la sopravvivenza libera da progressione mediana rispetto al placebo, portandola da 5,5 a 11,4 mesi. L' hazard ratio di progressione della malattia con sunitinib è risultato di 0,42 (p<0.001).
Inoltre, la probabilità di sopravvivenza libera da progressione a 6 mesi è risultata del 71,3% nel gruppo di pazienti trattato con sunitinib contro il 43,2% nei controlli, trattati con placebo.
Gli autori, un gruppo guidato da Eric Raymond, dell'Hôpital Beaujon di Clichy, in Francia, spiegano poi nel lavoro che un'analisi esplorativa eseguita per la possibile influenza delle caratteristiche dei pazienti e del tumore sugli effetti della terapia ha dimostrato che in tutti i sottogruppi presi in esame, i dati sul rischio di progressione e di mortalità erano a favore di sunitinib.
Il secondo trial è lo studio RADIANT-3, presentato in anteprima un paio di settimane fa a San Francisco in occasione del Simposio ASCO sui tumori gastrointestinali. In questo studio, il trattamento con everolimus ha portato a una riduzione del 65% del rischio stimato di progressione o morte. Anche in questo caso, così come con sunitinib, la PFS è più che raddoppiata, raggiungendo gli 11,0 mesi con everolimus contro 4,6 mesi con placebo (p<0.001). A 18 mesi, la percentuale di PFS è risultata del 34% con il farmaco contro il 9% nei controlli. Per leggere la descrizione completa dello studio su everolimis clicca qui
Il trial su sunitinib, grazie al quale il farmaco ha avuto di recente il via libera nell'Unione europea per questa indicazione, è uno studio multicentrico internazionale al quale hanno preso parte 42 centri di 11 Paesi, con un totale di 171 pazienti arruolati.
I partecipanti sono stati randomizzati in rapporto 1:1 al trattamento con sunitinib alla dose di 37,5 mg/die o placebo, in entrambi i casi in aggiunta alla miglior terapia di supporto.L'endpoint primario dello studio era la PFS, mentre gli endpoint secondari comprendevano la percentuale di risposta obiettiva, la sopravvivenza globale e la sicurezza.
Lo studio è stato interrotto in anticipo nel febbraio 2009, in base alla raccomandazione di un comitato indipendente di esperti che aveva giudicato non etico continuare a somministrare il placebo a una parte dei pazienti, alla luce dei benefici evidenziati con sunitinib.
"Anche se la sospensione anticipata di uno studio clinico può portare a una sovrastima dell'effetto reale del trattamento e a un numero di pazienti arruolati minore del previsto, l'entità dell'effetto osservato, la consistenza dell'hazard ratio di progressione o di morte nelle analisi di sensibilità e i dati di sopravvivenza favorevoli ottenuti nello studio forniscono una forte evidenza dei benefici significativi di sunitinib sul piano clinico" scrivono gli autori.
I decessi nel gruppo sunitinib sono stati 9 (il 10%) contro 21 nel gruppo placebo (il 24%), con un hazard ratio di morte di 0,41 (P = 0,02) a favore di sunitinib. Inoltre, nel gruppo in trattamento attivo si è ottenuta una percentuale di risposta obiettiva del 9,3%, mentre non si sono avute risposte obiettive nei controlli.
Sul fronte sicurezza e tollerabilità, la maggior parte degli eventi avversi sono stati di grado 1 o 2. Nel gruppo sunitinib, i più frequenti sono stati diarrea, nausea, vomito, astenia e fatigue, verificatisi in più del 30% dei pazienti. Il 23% e il 26% dei pazienti hanno inoltre riportato ertirodisestesia palmo-plantare e ipertensione.
Gli eventi avversi di grado 2 o 4 più comuni nel gruppo sunitinib sono stati neutropenia (12%) e ipertensione (10%). Quelli che più frequentemente hanno portato all'interruzione del trattamento sono stati fatigue (4%), diarrea (2%) e insufficienza cardiaca (2%).
In un editoriale di commento, Robert Jensen, del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases, e Gianfranco Delle Fave, professore di gastroenterologia all'Università La Sapienza di Roma, scrivono che i due studi "inducono all'ottimismo circa il trattamento dei tumori neuroendocrini del pancreas maligni perché entrambi i farmaci hanno migliorato la sopravvivenza libera da malattia, anche in pazienti in cui altri trattamenti non avevano funzionato, e dunque offrono un'opzione terapeutica efficace in un ambito dove finora non ce n'erano".
Ottimismo sì, ma cauto, secondo i due editorialisti. Sono ancora diverse, infatti, le domande a cui occorre dare risposta. Per esempio, il miglioramento della sopravvivenza libera da malattia ottenuto con everolimus si tradurrà in un aumento della sopravvivenza globale? I pazienti affetti da queste neoplasie dovranno continuare ad assumere i farmaci per anni, visto che entrambi sembrano stabilizzare la neoplasia, piuttosto che curarla? O ancora, se un paziente smette di rispondere a un farmaco, può essere trattato con l'altro o con una combinazione dei due? I due agenti possono essere usati in fase adiuvante o neoadiuvante o in combinazione con altri trattamenti?
Forse, ancor più importante sarà chiarire come il profilo di tollerabilità potrebbe influire sull'aderenza al trattamento a lungo termine, dato che molti pazienti, in assenza di trattamento, hanno una qualità della vita eccellente fino a una fase avanzata della malattia.
E. Raymond. Sunitinib Malate for the Treatment of Pancreatic Neuroendocrine Tumors. N Engl J Med 2011; 364:501-513
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J.C. Yao, et al. Everolimus for Advanced Pancreatic Neuroendocrine Tumors. N Engl J Med 2011; 364:514-523
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Oncologia ed Ematologia