Molti ma non tutti i farmaci tradizionalmente impiegati nel trattamento dell’artrite reumatoide possono essere usati durante l’allattamento, con un rischio molto basso per il neonato.

Sappiamo ad esempio che alcuni FANS, i cortisonici a basso dosaggio, l’idrossiclorochina e la sulfasalazina sono consentiti durante l’allattamento. Gli anti-TNFα passano nel latte materno ma in piccolissime quantità e pertanto sembrano sicuri. Metotrexato e leflunomide, invece, non devono essere assunti. Quanto gli altri trattamenti per l’artrite reumatoide (AR), dal momento che non sono ancora disponibili dati sicuri, nel dubbio è consigliabile non prescriverli durante l’allattamento.

Ad affermarlo una review pubblicata su Current Opinion in Rheumatology che riassume i dati attualmente disponili riguardo i trattamenti farmacologici comunemente impiegati nel post-partum.
A differenza di quanto avviene durante la gravidanza, momento in cui la maggior parte delle pazienti sperimenta la remissione, il periodo immediatamente successivo al parto è spesso caratterizzato da riacutizzazione della malattia.

Gestire i sintomi della madre durante l’allattamento è una vera sfida proprio a causa del passaggio dei farmaci nel latte materno. Tuttavia i benefici dell’allattamento per il neonato sono ormai ben noti ed è quindi importante fare almeno qualche tentativo per aggiustare la terapia e consentirlo.

Innanzi tutto occorre precisare che solo la frazione di farmaco non legata alle proteine viene trasferita per diffusione nel latte materno. Quindi i farmaci altamente legati alle proteine, quelli ad alto peso molecolare, ionizzati, non lipidici e solubili non passano nel latte materno tanto facilmente. Anche la cinetica del farmaco può avere un certo impatto sulla sua stessa concentrazione finale nel latte. Ad esempio, i farmaci con una lunga emivita tendono ad accumularsi nel latte con più facilità.

Gli autori della review hanno suddiviso i trattamenti per l’AR in 3 classi di rischio, il quale è stato assegnato sulla base di valutazioni teoriche, livelli misurati nel latte materno e nel siero del neonato, e effetti clinici riportati nei neonati allattati al seno.

Farmaci a basso-rischio
Studi recenti ci dicono che di fatto gli anti-infiammatori non steroidei (FANS) passano nel latte materno in piccole dosi e che, per tale ragione, è meglio ricorrere a quelli con breve durata d’azione, evitandoli nel caso in cui il neonato sia nato prematuro.

Il prednisone può essere assunto dalla madre, sebbene quando utilizzato a dosi maggiori a 20 mg/die, si raccomanda di attendere un intervallo di 4 ore dall’ultima dose prima di allattare.
L’idrossiclorochina e la sulfasalazina sono compatibili con la lattazione, così come la ciclosporina, sebbene quest’ultima, in un caso isolato, sia stata ritrovata nel siero neonatale ad una dose terapeutica.

L’azatioprina (AZA) e gli anti-TNF vengono trasferiti nel latte materno solo in una piccolissima parte – infatti nei sieri dei neonati sono stati ritrovati in concentrazioni trascurabili.
In particolare gli inibitori del TNF quali adalimumab, etanercept, infliximab, certolizumab e golimumab sono basati o contengono parti della struttura delle IgG1, note per essere secrete nel latte in piccole quantità. Tutti gli anti-TNF inoltre hanno un alto peso molecolare e, come se non bastasse, non presentano quella porzione di proteina secretoria che protegge dalla degradazione enzimatica le IgA materne nel latte. Questo significa che le IgG vengono distrutte nell’apparato gastrointestinale del neonato e non assorbite a livello sistemico.

Farmaci ad alto rischio
Ciò che è certo è che metotrexato e leflunomide sono assolutamente da evitare.
Metotrexate (MTX) è un antagonista dei folati escreto nel latte materno a basse concentrazioni ma con una tendenza ad accumularsi nei tessuti del neonato. Infatti MTX è stato ritrovato nel latte e nel siero 2 ore dopo la somministrazione in una donna di 25 anni trattata con 22,4 mg/ die di MTX per un coriocarcinoma.

Leflunomide è un inibitore della sintesi delle pirimidine con una emivita di 14 giorni. Non vi sono dati in letteratura riguardo la presenza di leflunomide nel latte materno o nel siero del neonato e quindi, data la lunga emivita, l’utilizzo durante l’allattamento non è permesso.

Farmaci a rischio non noto
Altri farmaci biologici impiegati nel trattamento dell’AR, sebbene siano anticorpi monoclonali o macromolecole di altro tipo, non sono raccomandati durante l’allattamento per mancanza di dati.
Tra questi farmaci vi è anakinra, inibitore dell’IL-1 per il quale esistono pochissimi dati in letteratura. Rituximab ha invece determinato anomalie ematologiche in 11 neonati di madri trattate con il farmaco prima e durante la gravidanza, sebbene non avessero allattato al seno.

Abatacept è stato trovato nel latte di animali in allattamento, ma non sono disponibili dati relativi alla sua presenza nel latte umano. Anche per tocilizumab non ci sono ad oggi dati disponibili.
Infine tofacitinib, inibitore della Janus-associated kinase-3, è somministrato per via orale ed ha un basso peso molecolare (504,5 Da). Dal momento che non sono disponibili dati, meglio evitarlo durante l’allattamento.

“Potrebbero occorrere molti anni per accumulare dati di qualità sufficientemente alta da consentire la stesura di linee guida sull’allattamento basate sull’evidenza”, spiegano gli autori.
Nel frattempo il reumatologo, sulla base delle informazioni attualmente disponibili, può aiutare ciascuna paziente a valutare il rapporto fra rischi e benefici dell’allattamento, sia per se stessa che per il neonato, durante una terapia per l’AR.

In particolare “ogni neonato allattato al seno da madre sottoposta a terapia immunosoppressive, anche quelle considerate a basso rischio, dovrebbe essere accuratamente monitorato in termini di infezioni e altre complicazioni”, concludono gli autori.

Francesca Sernissi


References
Sammaritano LR, Bermas BL. Rheumatoid arthritis medications and lactation. Curr Opin Rheumatol. 2014 May;26(3):354-60.