Una terapia iniziale aggressiva  a base di MTX, sulsalazina e idroclorochina, in associazione con terapia ponte con glucorticoidi (GCs) è più efficace della monoterapia con MTX, in associazione con GCs, nel migliorare in modo significativo l'attività di malattia e l'abilità funzionale in pazienti con artrite reumatoide (AR) all'esordio.

Queste le conclusioni di uno studio presentato nel corso del congresso annuale EULAR 2015, che si sta tenendo a Roma in questi giorni.

La popolazione dello studio comprendeva 281 pazienti ad elevata probabilità di progressione verso un’artrite persistente (superiore al 70%), facenti parte della coorte dello studio tREACH (treatment in the Rotterdam Early Arthritis CoHort), un trial randomizzato pubblicato lo scorso anno, nel corso del quale era stato dimostrato come la terapia tripla con DMARD, più una terapia ponte con un GC orale o intramuscolo, fosse stata in grado di consentire più velocemente il raggiungimento degli outcomes terapeutici e richiedesse meno intensificazioni del trattamento rispetto alla monoterapia iniziale con MTX, più un glucocorticoide orale, in pazienti con AR in fase iniziale.

Tutti i partecipanti avevano più di 18 anni, avevano una o più articolazioni colpite dalla malattia ed erano sintomatici da meno di un anno; il 68% erano donne.

Il punteggio medio DAS era pari a 3,4 mentre l'abilità funzionale, misurata in base all'indice HAQ (Health Assessment Questionnaire), era pari a 1 (valore mediano).

I pazienti reclutati nel trial sono stati randomizzati ad una delle due strategie terapeutiche seguenti: 1) terapia tripla a base di MTX, sulsalazina e idroclorochina, in associazione con terapia ponte con glucorticoidi (GCs); 2) monoterapia con MTX, in associazione con terapia ponte con GCs.

Gli outcome primari del trial erano rappresentati dalla valutazione del punteggio DAS44 (un indice composito di attività di malattia) e da quello nel questionario HAQ Disease Activity Score (che misura lo stato funzionale).
Lo studio, prevedeva, inoltre, la possibilità di ridurre la posologia dei farmaci in presenza di due misurazioni del punteggio DAS <1,6 rilevate in due visite di controllo consecutive (a cadenza trimestrale).

I risultati del trial hanno documentato, dopo due anni di osservazione, che la differenza dei punteggi HAQ tra i 2 gruppi di trattamento era  statisticamente significativa, indipendentemente dal punteggio DAS, con un vantaggio, in termini di abilità funzionale, nel gruppo sottoposto a terapia tripla. Invece, la progressione radiografica di malattia è stata minima e sovrapponibile tra i due gruppi di trattamento, indipendentemente dalla riduzione della posologia dei farmaci.

La percentuale di pazienti in grado di raggiungere la condizione di remissione sostenuta di malattia (DAS44<1,6) è risultatata simile sia nei pazienti in trattamento con terapia tripla (51%) che in quelli in monoterapia con MTX (47%).

Quanto alla riduzione della posologia dei DMARD, nell'89% dei casi questa ha coinvolto un DMARDs e nell'11% dei casi un DMARD biologico. Dopo 2 anni, il 20% dei pazienti in terapia tripla era in remissione libera da farmaco a fronte di un 26% di pazienti in monoterapia con MTX. Il 17% dei pazienti in terapia tripla, invece, ha ridotto la posologia del farmaco a fronte del 16% di pazienti in monoterapia.

Infine, anche il riscontro di episodi di recidivazione di malattia dopo riduzione posologica è risultato simile nei due gruppi di trattamento.

Nel commentare lo studio, gli autori hanno sottolineato come "...i risultati dimostrino una riduzione precoce della severità di malattia e un miglioramento dell'abilità funzionale nei pazienti in trattamento con la terapia tripla rispetto alla monoterapia, a supporto del ricorso precoce al trattamento aggressivo. Inoltre - aggiungono gli autori  - in ragione del numero significativo di pazienti in grado di raggiungere la condizione di remissione libera da farmaco mediante ricorso a farmaci biologici meno costosi nel corso dei primi due anni di terapia, i risultati ottenuti dovrebbero rassicurare in merito alla necessità di una terapia aggressiva a lungo termine".

 

Nicola Casella