I pazienti con artrite reumatoide (AR) refrattaria, trattati con rituximab, sperimentano un deciso miglioramento degli outcome riferiti dai pazienti.

Sono queste le conclusioni di uno studio USA, basato sui dati del Corrona RA Registry, di recente pubblicazione su Clinical Rheumatology, che suffragano l'impiego del farmaco in questa tipologia di pazienti difficili nella pratica clinica reale.

Razionale dello studio
“I pazienti affetti da AR sperimentano molto frequentemente un riduzione della qualità di vita legata allo stato di salute (HRQOL), come documentato dal riscontro di disabilità e di comorbilità legate alla malattia – ricordano gli autori nell'introduzione allo studio”.

Gli obiettivi di trattamento nell'AR sono due: 1) il raggiungimento della condizione di ridotta attività di malattia (LDA) o della sua remissione; 2) il miglioramento della HRQOL.
Tra gli outcome riferiti dai pazienti si annoverano alcuni indici legati ad HRQOL, quali l'abilità di svolgimento delle mansioni quotidiane, la salute emotiva e il grado di dolore e di disabilità.

“Gli outcome riferiti dai pazienti si stanno gradualmente affermando come misure imprescindibili nel determinare la risposta alla terapia nei pazienti con AR – continuano i ricercatori”.

Rituximab è un anticorpo monoclonale diretto con le cellule B CD20+, favorendone la loro deplezione. Il farmaco, approvato in combinazione con metotressato (MTX), è attualmente approvato per il trattamento dell'AR nei pazienti con risposta inadeguata ad almeno un farmaco anti-TNF.

La presenza di dati limitati sull'effetto di rituximab nei confronti degli outcome riferiti dai pazienti nella pratica clinica reale (setting real world) ha sollecitato la messa a punto di questo studio, che ha esaminato l'impatto del farmaco in una coorte di pazienti USA con AR.

Disegno dello studio
Per questo studio, i ricercatori si sono serviti dei dati provenienti dal registro prospettico osservazionale Corrona, che aveva reclutato più di 43.000 pazienti da più di 150 centri dislocati sul suolo USA.

I pazienti oggetto della nuova analisi dei dati avevano un'età mediana di 59 anni e più del 75% del totale era di sesso femminile. La durata mediana di malattia del campione di pazienti utilizzato per lo studio era di 13 anni, e in un caso su due era presente un'elevata attività di malattia, definita da un punteggio CDAI (the Clinical Disease Activity Index) >22.

Il 42,6% del campione era stato precedentemente trattato con un inibitore di TNF-alfa, mentre il rimanente 57,4% era stato trattato con più di 2 farmaci. Quasi il 47,5% dei pazienti, inoltre, era stato trattato con due o più farmaci biologici diversi dagli antagonisti del TNF-alfa.

Lo studio ha valutato la variazione degli outcome riferiti dai pazienti ad un anno dall'inizio del trattamento con rituximab. Tra le misure prese in considerazione vi erano l'indice CDAI (Clinical Disease Activity Index), l'attività globale di malattia percepita, il dolore e l'astenia (parametrati su scala VAS 0-100), la durata (in ore) della condizione di rigidità mattutina, il punteggio mHAQ (modified Health Assessment Questionnaire) e quello riportato al questionario EuroQoL EQ-5D.

Risultati principali
L'impatto dell'AR sulla vita dei pazienti era sostanziale: i punteggi mediani iniziali riferiti al dolore, all'astenia e alla valutazione globale del paziente erano pari, rispettivamente, a 60,65 e 40, mentre il punteggio mediano HAQ era pari a 0,6 e la durata mediana della condizione di rigidità mattutina pari a 60 minuti.

Quanto all'indice EuroQol, i ricercatori hanno documentato, all'inizio dello studio, difficoltà della deambulazione nel 75,7% dei casi, problemi nello svolgimento delle mansioni quotidiane nell'81,1% e dolore/disabilità nel 95,8%. Inoltre, il 48,6% dei pazienti aveva difficoltà ad autogestire la cura mentre il 49% riportava la presenza di ansia o depressione.

Ad un anno dall'inizio del trattamento con rituximab, su 667 pazienti reclutati nel registro che erano andati incontro ad insuccesso terapeutico con almeno un farmaco anti-TNF, è stato osservato un miglioramento clinicamente significativo di almeno 10 mm sulla scala VAS relativamente agli outcome “dolore”, “astenia” e “valutazione globale del pazienti”, rispettivamente, nel 47,1%, 49,8% e 49% dei casi.

Inoltre, considerando il punteggio mHAQ, è stata documentata una riduzione clinicamente significativa di questo parametro pari almeno a 0,25 in almeno il 23,2% dei pazienti.

Il miglioramento mediano del punteggio CDAI ad un anno è stato di 8 punti, con risultati sovrapponibili nei pazienti trattati con uno o più farmaci anti-TNF.

Tuttavia, un numero maggiore di pazienti in trattamento con un solo farmaco anti-TNF ha raggiunto, più frequentemente, la condizione di ridotta attività di malattia/remissione, con punteggi uguali o inferiori a 10 di CDAI (37,7% vs. 25,1%; p<0,001).

Il miglioramento mediano dei punteggi relativi ai domini “dolore”, “astenia” e “valutazione globale del paziente” è stato pari, rispettivamente, a 7, 9 e 7. Per quanto riguarda l'astenia, i ricercatori hanno osservato una riduzione clinicamente significativa di questo outcome ad un anno in una proporzione più ampia di paziente esposta a trattamento pregresso con due o più inibitori di TNF-alfa rispetto a quanto visto nei pazienti esposti ad un solo farmaco anti-TNF (52,9% vs. 45,5%).

Quasi la metà dei pazienti dello studio ha sperimentato una riduzione della durata della condizione di rigidità mattutina, con un paziente su 5 che ha visto una riduzione di questo outcome superiore ad un'ora.

Tra i pazienti che hanno riferito difficoltà associate all'AR alla compilazione del questionario EuroQol,  dopo un anno di trattamento con rituxumab, il 19% ha sperimentato miglioramenti nella deambulazione, il 30% nell'autogestione della cura, il 24% nello svolgimento delle comuni attività quotidiane, il 23% del dolore/ disabilità e il 32% della condizione di ansia/depressione.

A quest'ultimo riguardo, il miglioramento della condizione di ansia/depressione è stato documentato in un numero maggiore di pazienti trattato solo con un farmaco anti-TNF rispetto ai pazienti sottoposti a trattamento pregresso con due o più esponenti di questa classe di farmaci (40% vs.26%).

Infine, last but not least, quasi l'80% dei pazienti è rimasto in trattamento con rituximab per un anno intero.

Riassumendo
Nel commentare i risultati, gli autori dello studio hanno sottolineato come “...questa analisi sia tra le prime attualmente disponibili in letteratura a descrivere l'esperienza dei pazienti relativa al trattamento con rituximab, ad un anno dall'inizio della terapia, nella pratica clinica reale”.
“Questi risultati – concludono – suggeriscono come il trattamento con rituximab possa migliorare la HRQOL in aggiunta al controllo (già documentato) della malattia sottostante in pazienti con AR di lungo corso, precedentemente trattati con farmaci anti-TNF”.

NC

Bibliografia
Harrold L, et al "Impact of rituximab on patient-reported outcomes in patients with rheumatoid arthritis from the U.S. Corrona Registry" Clin Rheumatol 2017; doi:10.1007/s10067-017-3742-2.
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