JAK inibitori per l'artrite reumatoide e rischio cardiovascolare: dati rassicuranti da registro europeo
Dati di real life raccolti in una vasta coorte europea suggeriscono che i pazienti con artrite reumatoide (AR) trattati con JAK inibitori non presentano un rischio aumentato di eventi cardiovascolari maggiori (MACE) rispetto a quelli trattato con anti-TNF o altri farmaci biologici. Non solo: nei primi due anni di terapia, i tassi di eventi avversi cardiovascolari sono risultati inferiori nei pazienti in terapia con JAKi. Lo studio, pubblicato sulla rivista Arthritis & Rheumatology, è stato condotto su oltre 50.000 pazienti afferenti al consorzio europeo JAK-pot.
Razionale e obiettivi dello studio
Come è noto, la sicurezza cardiovascolare dei JAK inibitori è stata messa in discussione qualche anno fa dai risultati dello studio ORAL Surveillance, che aveva rilevato un aumento numerico di eventi MACE e neoplasie nei pazienti trattati con tofacitinib rispetto ad anti-TNF. Tuttavia, tale studio aveva criteri di inclusione stringenti (età ≥50 anni e almeno un fattore di rischio cardiovascolare), limitando la generalizzabilità dei risultati alla popolazione reale.
Inoltre, i pazienti con AR nella pratica clinica quotidiana hanno accesso a una gamma molto più ampia di farmaci biologici rispetto a quelli valutati nello studio ORAL Surveillance. Alla luce di questi limiti, i ricercatori del consorzio europeo JAK-pot hanno deciso di valutare l’incidenza degli eventi cardiovascolari nei pazienti con AR trattati con JAKi, anti-TNF e altri farmaci biologici, utilizzando dati real-world provenienti da 15 registri nazionali.
Disegno dello studio e risultati principali
Lo studio ha incluso 51.233 pazienti con AR, per un totale di circa 73.000 cicli di trattamento. Nello specifico i pazienti erano stati sottoposti a 16.500 cicli con JAK inibitori (tofacitinib, baricitinib, filgotinib, upadacitinib) oppure a 35.000 cicli con anti-TNF (adalimumab, etanercept, infliximab, certolizumab, golimumab), oppure a 21.000 cicli con altri farmaci biologici (abatacept, rituximab, sarilumab, tocilizumab).
L’età media dei pazienti era compresa tra 58 e 60 anni, con una prevalenza di individui di sesso femminile (75-80%). La durata mediana della malattia variava da 8,4 a 11,9 anni.
Passando ai risultati, durante un follow-up medio di 1,3 anni, sono stati registrati 828 eventi MACE (ictus, infarto miocardico, TIA). L’incidenza per 1.000 anni-persona è risultata pari a:
- 6,97 per i pazienti in trattamento con JAKi
- 7,57 per quelli in trattamento con anti-TNF
- 11,77 per i pazienti trattati con altri farmaci biologici
Il rischio di MACE è risultato significativamente più elevato con altri farmaci biologici rispetto ai JAK inibitori (IRR aggiustato: 1,35; IC95%: 1,10–1,66). Non sono emerse differenze significative tra JAKi e anti-TNF. I TIA sembrano essere il principale driver della differenza nei tassi complessivi di MACE, mentre per ictus e infarto non sono state rilevate differenze sostanziali.
Restrizioni ulteriori dell’analisi ai pazienti che rispettavano i criteri più stringenti dello studio ORAL Surveillance (≥50 anni e almeno un fattore di rischio cardiovascolare), in registri con ≥25 eventi MACE (43.000 anni-persona), hanno evidenziato un IRR significativamente più basso per i JAKi rispetto agli anti-TNF (IRR aggiustato: 0,57; IC 95%: 0,12–2,66).
Da ultimo, Anche nei pazienti con pregressa patologia cardiovascolare, i JAKi non sono risultati associati da un aumento del rischio rispetto agli altri trattamenti.
Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso l’esistenza di alcuni limiti intrinseci degli studi basati su registri, quali la variabilità nella raccolta dei dati, la possibilità di bias nella scelta del trattamento (es. prescrizione di JAKi a pazienti con minor rischio CV) e il numero relativamente basso di eventi durante periodo di osservazione. Inoltre, la breve durata del follow-up potrebbe aver sottostimato eventi che si manifestano nel lungo termine — come suggerito dallo stesso studio ORAL Surveillance, dove molti eventi si sono verificati oltre i 2 anni.
Ciò nonostante, i risultati dello studio JAK-pot offrono un quadro rassicurante: nei pazienti con AR, i JAK inibitori non sembrano aumentare il rischio cardiovascolare nei primi anni di trattamento rispetto ad altri DMARDb, suggerendo che i timori derivanti dallo studio ORAL Surveillance non trovano conferma nei dati provenienti dalla pratica clinica quotidiana.
Questi risultati sottolineano l’importanza di considerare i dati di real life nel valutare la sicurezza dei farmaci, soprattutto in patologie complesse come l’AR, dove l’eterogeneità clinica può influenzare significativamente gli outcome.
NC
Bibliografia
Aymon R, et al "Incidence of major adverse cardiovascular events in patients with rheumatoid arthritis treated with Janus kinase inhibitors compared to biologic disease-modifying antirheumatic drugs: data from an international collaboration of registries (the "JAK-pot" study)" Arthritis Rheumatol 2025; DOI: 10.1002/art.43188.
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