Nuove conferme sull’efficacia e sulla sicurezza a lungo termine di denosumab contro l’osteoporosi postmenopausale. A fornirle sono gli ultimi dati dell’estensione in aperto dello studio FREEDOM (Fracture Reduction Evaluation of Denosumab in Osteoporosis Every 6 Months), presentati da poco a Chicago, durante i lavori dell’International Congress of Endocrinology and the Endocrine Society (ICE/ENDO).

Dallo studio emerge che donne in postmenopausa trattate per 8 anni consecutivi con denosumab - anticorpo monoclonale diretto contro il ligando di RANK (RANKL) - hanno fatto registrare un aumento continuo quasi lineare della densità minerale ossea (BMD) a livello della colonna lombare, nonché una riduzione persistente dei marker di turnover osseo e una bassa incidenza di nuove fratture vertebrali e non vertebrali, senza alcun incremento degli eventi avversi nel tempo.

Inoltre, nei 5 anni di trattamento in aperto con l’anticorpo, dopo i primi 3 di trattamento randomizzato e in doppio cieco, non è emerso nessun nuovo segnale di sicurezza.

“È importante sottolineare che il rischio complessivo di eventi avversi non è aumentato nel corso del tempo, e l’incidenza di tumori, infezioni gravi, eczema, ipocalcemia e altri eventi avversi nelle donne trattate con denosumab rimanere paragonabile a quella osservata nei controlli trattati con placebo nella prima fase dello studio, in doppio cieco” ha detto il primo autore Michael Lewiecki, direttore del New Mexico Clinical Research and Osteoporosis Center di Albuquerque, presentando i dati. "Il profilo di rischio/beneficio di denosumab rimane favorevole" ha dichiarato lo specialista.

L'estensione in aperto dello studio FREEDOM è stata progettata per valutare l'efficacia e la sicurezza di un massimo di 10 anni di terapia con denosumab. All’ICE/ENDO, Lewiecki ha presentato l'ultimo aggiornamento, che si riferisce al quinto anno di estensione, e quindi a 8 anni di trattamento continuativo con denosumab per le donne trattate fin da subito con l’anticorpo e 5 anni per quelle assegnate inizialmente al placebo e poi passate a densoumab dopo i primi 3 anni, quando è iniziata l’estensione in aperto.

I dati presentati si riferiscono a 2243 pazienti trattate con denosumab 60 mg sottocute ogni 6 mesi ininterrottamente per 8 anni e 2207 trattate col farmaco per 5 anni. Delle donne che hanno iniziato l’estensione, il 66% è arrivato al quinto anno di trattamento.

Sul fronte della sicurezza, sono stati registrati cinque casi di osteonecrosi della mandibola nel gruppo trattato con l’anticorpo per 8 anni e tre casi tra quelle che sono passate al farmaco dopo i primi 3 anni di placebo. Inoltre, vi è stata una frattura femorale atipica sia nel primo gruppo sia nel secondo.

Nel gruppo trattato da subito con denosumab, la BMD a livello della colonna lombare ha continuato ad aumentare nel tempo, fino ad arrivare a un aumento del 18,4% rispetto al basale, mentre nel gruppo trattato per 5 anni l’aumento è stato del 13,7% (in entrambi i casi P < 0,0001).

"La pendenza quasi lineare dell’incremento è rimasta invariata nel corso dello studio e una pendenza simile si è osservata nel gruppo che ha fatto il crossover" ha osservato l'endocrinologo.

A livello dell'anca in toto, la BMD, ha riferito l’autore, è aumentata dell’8,3% dopo 8 anni di terapia con denosumab e del 4,9% dopo 5 anni.

Dopo i primi 3 anni di trattamento, denosumab aveva mostrato una riduzione del 68% rispetto al placebo del rischio di fratture vertebrali, del 40% di quello di fratture dell'anca e del 20% di quello di fratture non vertebrali.

L'incidenza annuale di nuove fratture vertebrali nei primi 3 anni di terapia con denosumab era risultata dello 0,7-1,1%, mentre nei 5 anni successivi è stata dell’1,1-1,3%. Quella di nuove fratture non vertebrali nel gruppo denosumab è stata del 2,1-2,6% nei primi 3 anni di trattamento in doppio cieco e ha mostrato da allora una tendenza a scendere: 1,5% nel quarto anno, 1,2% nel quinto, 1,8% nel sesto, 1,6% nel settimo e 0,7% nell’ottavo.

"Sarà interessante analizzare i dati dei prossimi due anni per vedere se questa tendenza alla riduzione è solo un’aberrazione statistica o se il rischio di fratture non vertebrali continua a scendere ed essere molto basso" ha commentato Lewiecki.

Anche i livelli dei marker di turnover osseo nel siero (telopeptide C-terminale del collagene di tipo 1 e propeptide N-terminale del procollagene di tipo 1) sono scesi rapidamente dopo l'inizio del trattamento con denosumab e sono rimasti bassi, sia nel gruppo assegnato fin dall’inizio all’anti-RANKL sia in quello trattato inizialmente con il placebo e poi passato all’anticorpo.

A chi gli ha chiesto quale sia il meccanismo alla base dell'aumento lineare della BMD a livello lombare osservato negli 8 anni di terapia con denosumab, in netto contrasto con quanto accade per i bifosfonati, con i quali la BMD arriva a un plateau, Lewiecki ha confessato che "molti ricercatori si stanno interrogando su questo e cercando una spiegazione".

In altre parole, il motivo non è chiaro, “ma ci sono diverse ipotesi da prendere in considerazione", ha continuato l’endocrinologo, citando, per esempio, il fatto che gli effetti sul tessuto osseo corticale di denosumab sembrano essere diversi rispetto ai bifosfonati, con una riduzione della porosità corticale e un miglioramento maggiore della BMD nei siti scheletrici corticali.

In secondo luogo, potrebbe essere implicato un effetto dell'ormone paratiroideo, che aumenta maggiormente e più a lungo con denosumab rispetto ai bifosfonati; infine, dati sulle scimmie mostrano che l’anticorpo si associa una un modellamento dell’osso ed è possibile che anche questo meccanismo possa avere un ruolo".

E.M. Lewiecki, et al. Effect of Denosumab Treatment in Postmenopausal Women with Osteoporosis: Eight-Year Results from the Freedom Extension, Phase 3 Clinical Trial. ICE/ENDO 2014; abstract OR22-1.

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